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Karol Józef Wojtyła, divenuto Giovanni Paolo II con la sua elezione alla Sede Apostolica il 16 ottobre 1978, nacque a Wadowice, città a 50 km da Kraków (Polonia), il 18 maggio 1920. Era l’ultimo dei tre figli di Karol Wojtyła e di Emilia Kaczorowska, che morì nel 1929. Suo fratello maggiore Edmund, medico, morì nel 1932 e suo padre, sottufficiale dell’esercito, nel 1941. La sorella, Olga, era morta prima che lui nascesse.
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Con il termine umiliazione di Canossa si indica l'episodio occorso presso il castello Matildico durante la lotta politica che vide contrapposta l'autorità della Chiesa guidata da Gregorio VII a quella imperiale di Enrico IV il quale, per ottenere la revoca della scomunica comminatagli dal papa, fu costretto ad umiliarsi attendendo inginocchiato per tre giorni e tre notti innanzi al portale d'ingresso del castello di Matilde, mentre imperversava una bufera di neve.
Il governo dell'Imperatore Enrico IV del Sacro Romano Impero fu caratterizzato dal tentativo di rafforzare l'autorità imperiale. In realtà si trattava di trovare un difficile equilibrio dovendo assicurarsi da una parte la fedeltà dei nobili, senza perdere l'appoggio del pontefice. Mise in pericolo tutte e due le cose quando decise di assegnare la diocesi di Milano, divenuta vacante. Ciò fece scoppiare un conflitto con papa Gregorio VII che è passato alla storia come lotta per le investiture.
Quando Enrico IV nel 1072 inviò il conte Eberardo in Lombardia per combattere i patari nominando il chierico Tedaldo all'arcidiocesi di Milano, scatenò un'astiosa e lunga diatriba col papato. Gregorio VII replicò con una dura lettera, datata 8 dicembre, nella quale, tra le altre cose, accusava l'imperatore di essere venuto meno alla parola data ed aver continuato ad appoggiare i consiglieri scomunicati; mentre al tempo stesso inviò anche un messaggio verbale che lasciava capire che la gravità dei crimini che gli sarebbero stati mossi a questo proposito lo avrebbero reso passibile, non solo del bando da parte della Chiesa, ma della deprivazione della corona. Enrico non si preoccupò affatto e al sinodo di Worms il 24 gennaio 1076, che dichiarò deposto il papa, ai romani venne richiesto di sceglierne uno nuovo. La reazione di Gregorio arrivò il 22 febbraio 1076 quando pronunciò la sentenza di scomunica contro il re sciogliendo i sudditi dal giuramento di fedeltà desacralizzandone l'impero.
Nell'inverno fra il 1076 e il 1077 Enrico e sua suocera, la contessa Adelaide, iniziarono la loro processione penitenziale a Canossa per ottenere la revoca della scomunica da parte del papa Gregorio VII. Con loro anche il cognato Amedeo II di Savoia e il Marchese Azzorre d'Este. Per tre giorni e tre notti, dal 25 al 27 gennaio 1077 fu costretto ad umiliarsi, dovendo attendere d'entrare davanti al portale d'ingresso del castello della marchesa Matilde di Canossa inginocchiato col capo cosparso di cenere mentre imperversava una bufera di neve. Solo dopo, grazie all'intercessione del suo padrino, l'abate Ugo di Cluny, e della marchesa Matilde poté essere ricevuto dal papa il 28 gennaio.
Quello di Canossa fu un durissimo colpo per l'impero che non riuscì più a risollevarsi, permettendo la guida dell'occidente al papato e rafforzando Gregorio VII.
Da quel fatto storico nacque la locuzione "andare a Canossa" in riferimento a chi si umilia o ammette di aver sbagliato.
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« Corde pio flagrans Mathildis lucida lampas. Arma voluntatem, famulos, gazam proprianque, excitat, expendit, instigat, proelia gessit. Singula si fingam, quae fecit nobilis ista, carmina sic crescens, sunt ut numero sine stelle. » |
« Matilde, splendente fiaccola che arde in cuore pio. Aumentò in numero armi, volontà e vassalli, profuse il proprio principesco tesoro, causò e condusse battaglie. Se dovessi citare ad una ad una le opere compiute da questa nobile signora, i miei versi aumenterebbero a tal punto da divenire innumerevoli come le stelle. » |
La Grancontessa Matilde di Canossa, o Mathilde (in latino Mathildis, in tedesco Mathilde von Tuszien; Mantova, 1046 – Bondeno di Roncore, 24 luglio 1115), fu contessa, duchessa, marchesa eregina medievale. Matilde fu una potente feudataria ed ardente sostenitrice del Papato nella lotta per le investiture; donna di assoluto primo piano per quanto all'epoca le donne fossero considerate di rango inferiore, arrivò a dominare tutti i territori italici a nord degli Stati della Chiesa.
Fu incoronata presso il castello di Bianello (Reggio Emilia) dall'imperatore Enrico V.
Nel 1076 entrò in possesso di un vasto territorio che comprendeva la Lombardia, l'Emilia-Romagna e laToscana, e che aveva il suo centro a Canossa, nell'Appennino reggiano.
La Grancontessa (magna comitissa) Matilde è certamente una delle figure più importanti e interessanti del Medioevo italiano: vissuta in un periodo di continue battaglie, di intrighi e scomuniche, seppe dimostrare una forza straordinaria, sopportando anche grandi dolori e umiliazioni, mostrando un'innata attitudine al comando. La sua fede nella Chiesa del suo tempo le valse l'ammirazione e il profondo amore di tutti i suoi sudditi.
L'infanzia
Matilde nacque a Mantova nel 1046, terzogenita della potentissima famiglia feudale italiana deiCanossa, marchesi di Tuscia (già Ducato di Tuscia), di origine e madrelingua longobarda. Il padre,Bonifacio di Canossa detto "il Tiranno", era l'unico erede della dinastia canossiana, discendente diretto di Adalberto Atto (o Attone), fondatore della casata. La madre, Beatrice di Lotaringia, apparteneva ad una delle più nobili famiglie imperiali, strettamente imparentata con i duchi di Svevia, i duchi di Borgogna, gli Imperatori Enrico III ed Enrico IV, dei quali Matilde era rispettivamente nipote e cugina prima, nonché il papa Stefano IX.
Essendo figlia del signore della Tuscia, a Matilde spettava il titolo di marchesa. La parola germanicaMarkgraf qualificava difatti i "conti di confine". Tuttavia la Tuscia era stata nell'Alto Medioevo una circoscrizione del Regno longobardo, come tale definita "ducato". Ecco perché a Matilde si attribuiscono sia il titolo di "marchesa" che quello di "duchessa".
Poco si sa dell'infanzia di Matilde, sia perché le cronache del tempo preferirono occuparsi della fanciullezza dei due fratelli maggiori, Federico (legittimo erede di Bonifacio) e Beatrice, sia perché le fonti in nostro possesso si concentrano soprattutto sulle imprese compiute da adulta. Tuttavia, si può affermare con certezza che il nome, come per i fratelli, le fu imposto dalla madre Beatrice che in questo modo intendeva affermare la propria superiorità nobiliare rispetto al marito, infatti il casato di Ardennes-Bar, a cui ella apparteneva, era senza dubbio di stirpe regia.
Matilde trascorse la sua gioventù tra i freddi laghi ed i nevosi boschi padani e, a differenza di molte nobildonne del suo tempo, trascorse molto tempo dedicandosi alla cultura letteraria. A tal proposito, Donizone afferma:
« Fin da piccola conosceva la lingua dei Teutoni e sapeva anche parlare la garrula lingua dei Franchi. » |
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(Vita Marhildis, libro II, cap. IV) |
Trascorse i primi anni della propria esistenza in agiatezza e serenità nel castello di Canossa, teatro di grandi banchetti e feste sontuose organizzate dal padre. Tuttavia a soli 6 anni, Matilde assistette al primo evento che cambiò radicalmente il corso della sua vita: il 6 maggio 1052, il padre Bonifacio fu ucciso a tradimento durante una battuta di caccia da uno dei suoi vassalli, che lo trapassò alla gola con una freccia avvelenata. L'agonia del duca durò alcune ore; nella tarda serata dello stesso giorno spirò.
La madre rimasta vedova con tre figli piccoli aveva difficoltà a reggere il ruolo di Bonifacio. Nel 1053 Matilde ed i suoi fratelli ottennero un privilegio di protezione personale dall'Imperatore Enrico III, ma in quello stesso anno i due fratelli maggiori di Matilde morirono a causa di un maleficio(probabilmente un avvelenamento involontario).
Alla morte di papa Leone IX, parente di entrambi i genitori di Matilde, venne eletto con l'appoggio imperiale, papa Vittore II (1054).
Papa Vittore II era ospitato ad Arezzo dai Canossiani, quando morì nel 1057, lasciando come successore papa Stefano IX.
Visto il crescente potere della Casa di Canossa e la scomparsa del loro alleato Leone IX, Enrico III prese in ostaggio Matilde, che aveva solo 10 anni, e sua madre e le portò in Germania; ma dopo un anno anche Enrico III morì e così Matilde ritornò in Italia.
La madre Beatrice cercò una nuova protezione risposandosi con Goffredo il Barbuto, fratello di papa Stefano IX. Goffredo, figlio di Gozzellone, Duca di Lotaringia, era un aristocratico dedito alle armi ed alle arti guerresche di indole belligerante. Fu lui a succedere a Bonifacio come signore della Tuscia.
La famiglia dei Canossa, padrona dell'Italia centrale e della Lotaringia, imparentata con Papi e influente sugli imperatori, era in quel momento la famiglia più potente d'Europa.
Dopo la morte di Enrico III, Goffredo il Gobbo tentò di approfittare del temporaneo vuoto di potere per farsi incoronare Imperatore in terra tedesca; ma non ci riuscì per la morte del papa in Tuscia, cioè in terra canossiana. Per evitare il pericolo di sottomettersi in futuro all'imperatore, il papato decise di introdurre un sistema di elezione interna, il conclave dei cardinali, tuttora in vigore. Allontanatosi così dall'impero, il pontificato si affidò alla tutela dei Canossa che, grazie al diritto-dovere dell'accompagnamento dei Pontefici, finirono col determinare la scelta dei Papi e quindi le loro sorti.
Anche il nuovo papa Benedetto X ebbe vita breve; morì infatti, sempre alla corte dei Canossa, nel 1061. Dopo di lui vennero eletti due papi: l'imperatore scelse il Vescovo di Parma Cadalo, che prese il nome di Onorio II, mentre la Chiesa elesse il Vescovo di Lucca, nonché ecclesiastico dei Canossa Anselmo da Baggio, che prese il nome di Alessandro II. Dopo varie vicissitudini si concordò di tenere un nuovo concilio nel cuore dei domini canossiani, a Mantova. Papa Onorio II preferì non partecipare per timore di perdere la vita e comunque Alessandro II dimostrò la legalità della propria elezione; i Canossa giudici dal quale dipendeva il Paparum Ducatus allora decisero di assegnare il papato al loro candidato Alessandro II. Matilde si ritrovò di nuovo con un papa suo alleato.
Il matrimonio con Goffredo il Gobbo
Goffredo il Barbuto, sposando Beatrice, era diventato signore della Tuscia. Una clausola del contratto di matrimonio stabilì che il figlio naturale di Goffredo,Goffredo il Gobbo, avrebbe sposato la figlia naturale di Beatrice, Matilde, per consolidare il suo potere e quello dei Canossa, e per non dover in seguito dividere i possedimenti delle rispettive casate. I due promessi sposi erano così cugini di quarto grado.
Le nozze furono anticipate al 1069, allorché Goffredo si trovò in punto di morte. Matilde alla fine dell'anno accorse al capezzale del patrigno in Lotaringia; prima della sua morte Matilde e Goffredo il Gobbo si unirono in matrimonio.
Il marito era un giovane coraggioso e retto ma afflitto da alcuni difetti fisici (tra gli altri gozzo e gobba), comunque Matilde, conscia dei doveri nobiliari per i quali era stata educata e con la persuasione della madre, seppur riluttante restò in Lotaringia coabitando col marito e ne rimase incinta nell'autunno 1070. Tra la primavera e l'estate del 1071 partorì una bambina che chiamò Beatrice, per poter rinnovare il nome della madre (nome molto frequente in Lotaringia).
Il parto però non fu facile e dopo pochi giorni la piccola Beatrice morì. La Beatrice madre eresse il monastero di Frassinoro, nell'Appennino Modenese, com'era usanza tra i nobili, per "la grazia dell'anima della defunta Beatrice mia nipote".
La permanenza di Matilde in Germania fu breve quanto difficile e rischiosa. Matilde rischiò la vita non solo per i postumi di un parto difficile, che nel medioevo spesso si risolveva con la morte della madre, ma anche per l'ira del casato di Lotaringia che accusò la Grancontessa di portare il malocchio, in quanto non aveva dato un erede maschio al suo "Signore", compito principale, se non unico, per le mogli dell'epoca. Nel gennaio del 1072 fuggì appena le circostanze le offrirono la possibilità, e rientrò a Canossa, presso la madre.
Tra il 1073 ed il 1074 il marito Goffredo scese nella penisola italiana per riconquistare Matilde offrendole possedimenti ed armate, ma la risposta della Grancontessa fu estremamente ferma e rigida. Sul suo atteggiamento si è costruito il mito di una donna priva di debolezze.
Goffredo il Gobbo nel 1076 cadde vittima di un'imboscata nelle sue terre nei pressi di Anversa. Lamberto di Hersfeld riporta che durante la notte, spinto da bisogni corporali, si recò al gabinetto e un sicario che stava in agguato gli conficcò una spada tra le natiche lasciandogli l'arma piantata nella ferita. Sopravvisse, ma una settimana dopo, il 27 febbraio 1076, morì, lasciando Matilde vedova. Molti l'accusarono di essersi macchiata personalmente di questo crimine: ..con la complicità di una serva fedelissima lo fece uccidere in gran segreto mentre stava seduto al cesso, infilandogli la spada nell'ano.. (Landolfo padre, storico di Milano); comunque come colpevole viene indicato più verosimilmente il conte fiammingo Roberto I delle Fiandre. In ogni caso Matilde non versò al clero neppure un obolo per l'anima del marito ucciso, né fece recitare una messa o gli dedicò un convento, com'era d'uso.
Il 18 aprile 1076 muore Beatrice, la madre di Matilde, e da questo momento, anche se prima aveva già regnato affiancata alla madre, diviene a 30 anni l'unica sovrana incontrastata di tutte le terre che vanno dal Lazio al lago di Garda.
Nel 1073 era salito al soglio pontificio Ildebrando di Soana, col nome di Gregorio VII. Nello stesso anno il nuovo imperatore Enrico IV, dopo aver riorganizzato il territorio tedesco, si era rivolto verso i suoi possedimenti in Italia. Cominciò tra i due personaggi un duro duello, che vide contrapposta l'autorità della Chiesa a quella dell'Impero (lotta per le investiture). Nel 1076 il papa decise di scomunicare l'imperatore.
Matilde si ritenne libera di agire secondo la sua completa volontà e si schierò con decisione al fianco di papa Gregorio VII, nonostante l'imperatore fosse suo secondo cugino.
La scomunica indusse Enrico IV a venire a patti col papa. L'imperatore scese in Italia per parlare personalmente col pontefice. Gregorio VII lo ricevette nel gennaio 1077 mentre era ospite di Matilde nel castello di Canossa. In quell'occasione l'imperatore, per ottenere la revoca della scomunica da parte del papa, fu costretto ad attendere davanti al portale d'ingresso del castello per tre giorni e tre notti inginocchiato col capo cosparso di cenere. Il faccia a faccia si risolse con un compromesso (28 gennaio 1077): Gregorio revocò la scomunica a Enrico, ma non la dichiarazione di decadenza dal trono.
Nel 1079 Matilde donò al papa tutti i suoi domini, in aperta sfida con l'imperatore, visti i diritti che il sovrano vantava su di essi, sia come signore feudale, sia come parente prossimo.
Ma in due anni le sorti del confronto tra papato ed impero si ribaltarono: nel 1080 Enrico IV convocò un Concilio a Bressanone in cui fece deporre il papa. L'anno seguente decise di scendere una seconda volta in Italia per ribadire la sua signoria sui suoi territori. Decretò Matilde deposta e bandita dall'impero.
Ma la Grancontessa non se ne diede per vinta e, mentre Gregorio VII era costretto all'esilio, Matilde resisté e il2 luglio 1084 riuscì a sbaragliare inaspettatamente l'esercito imperiale nella famosa battaglia di Sorbara, presso Modena riuscendo nella formazione di una coalizione favorevole al papato a cui aderirono i bolognesi e contrapposta alla lega imperiale.
Nel 1088 Matilde si trovò a fronteggiare una nuova discesa dell'Imperatore Enrico IV e si preparò al peggio con un matrimonio politico, dato che l'attuale pontefice disgiungeva il potere vaticano da quello canossiano, com'era stato sino a questo momento, per ultimo fino a Gregorio IV. Matilde scelse il Duca diciannovenneGuelfo V (in tedesco Welf), erede della corona ducale di Baviera. Le nozze facevano parte di una rete di alleanze di cui faceva parte anche il nuovo papa, Urbano II, allo scopo di contrastare efficacemente Enrico IV.
La quarantatreenne Matilde inviò una lettera al suo futuro sposo:
« Non per leggerezza femminile o per temerarietà, ma per il bene di tutto il mio regno, ti invio questa lettera accogliendo la quale tu accogli me e tutto il governo della Longobardia. Ti darò tante città tanti castelli tanti nobili palazzi, oro ed argento a dismisura e soprattutto tu avrai un nome famoso, se ti renderai a me caro. e non segnarmi per l'audacia perché per prima ti assalgo col discorso. È lecito sia al sesso maschile che a quello femminile aspirare ad una legittima unione e non fa differenza se sia l'uomo o la donna a toccare la prima linea dell'amore, solo che raggiunga un matrimonio indissolubile. Addio. » |
La Gran Contessa inviò migliaia di armati al confine della Longobardia a prendere il Duca, lo accolse con onori, organizzò una festa nuziale di 120 giorni con un apparato di fronte al quale sarebbe impallidito qualunque sovrano medioevale. Cosma di Praga, autore del Chronicon Boemorum, riporta che dopo il matrimonio, per due notti, il duca aveva rifiutato il letto nuziale ed il terzo giorno Matilde si presentò nuda su una tavola preparata ad hoc su alcuni cavalletti dicendogli tutto è davanti a te e non v'è luogo dove si possa celare maleficio. Ma il il Duca rimase interdetto; Matilde, indignata, lo assalì a suon di ceffoni e sputandogli addosso lo cacciò con queste parole: Vattene di qua, mostro, non inquinare il regno nostro, più vile sei di un verme, più vile di un'alga marcia, se domani ti mostrerai, d'una mala morte morirai.... Il Duca fuggì; per questo fu soprannominato Guelfo l'impotente. Matilde e il giovane marito si separarono dopo pochissimi giorni; ovviamente i due non ebbero mai figli.
Successivamente Matilde fomentò i due figli dell'imperatore, Corrado di Lorena ed Enrico e ne appoggiò le rivolte contro il padre; si appoggiò inoltre alla potente casata comitale dei Guidi in Toscana, per ostacolare un'altra dinastia, gli Alberti, fedeli all'impero.
La vittoria contro l'imperatore
Dopo numerose vittorie, tra le quali quella sui Sassoni, l'imperatore Enrico si prepara nel 1090 alla sua terza discesa in terra italica, per infliggere una sconfitta definitiva alla Chiesa. L'itinerario fu quello solito, il Brennero e Verona, confine coi possedimenti di Matilde che iniziavano a partire dalle porte della città. La battaglia si accentrò presso Mantova. Matilde si assicurò la fedeltà degli abitanti esentandoli da alcune tasse come il teloneo ed il ripatico e con la promessa di essere integrati nello status di Cittadini Longobardi col diritto di caccia, pesca e taglialegna su entrambe le rive del fiume Tartaro. La città resistette fino al tradimento del giovedì santo, nel quale i cittadini cambiarono fronte in cambio di alcuni ulteriori diritti concessi loro dall'assediante Enrico IV. Matilde si arroccò nel 1092 sull'appennino reggiano attorno ai suoi castelli più inespugnabili. Sin da Adalberto Atto il potere dei Canossa si era basato su una rete di castelli, rocche e borghi fortificati situati nella Val d'Enza, che costituivano un complesso sistema poligonale di difesa che aveva sempre resistito ad ogni attacco portato sull'Appennino. Dopo alterne e sanguinose battaglie, il potente esercito imperiale venne preso in una morsa.
Nonostante l'esercito imperiale fosse temibilissimo, fu distrutto dalla vassalleria matildica dei piccoli feudatari ed assegnatari dei borghi fortificati, che mantennero intatta la fedeltà ai Canossa anche di fronte all'Impero. La conoscenza perfetta dei luoghi, la velocità delle informazioni e degli spostamenti, la presa delle posizioni strategiche in tutti i luoghi elevati della val d'Enza, avevano avuto la meglio sul potente imperatore. Pare che la stessa contessa avesse partecipato, con un manipolo di guerrieri scelti e fedeli, alla battaglia, galvanizzando gli alleati all'idea di combattere una guerra giusta. L'esercito imperiale fu preso a tenaglia nella vallata, ma la sconfitta totale fu più di una guerra persa: Enrico IV si rese conto dell'impossibilità di penetrare quei luoghi asperrimi, ben diversi dalla Pianura Padana o della Sassonia: non si trovava più di fronte ai confini tracciati dai fiumi dell'Europa centrale, ma a scoscesi sentieri, calanchi, luoghi impervi protetti da rocche turrite, da casetorri che svettavano verso il cielo, dalle quali gli abitanti scaricavano dardi di ogni genere su chiunque si avvicinasse: lance, frecce, forse anche olio bollente, giavellotti, massi, picche infocate. Con queste armi chi si trovava più in alto aveva spesso la meglio.
Dopo la vittoria di Matilde molte città come Milano, Cremona, Lodi e Piacenza si schierarono con la Contessa canossiana per sottrarsi al controllo imperiale. Nel 1093 il figlio secondogenito dell'Imperatore, Corrado di Lorena, sostenuto dal papa, da Matilde e da una lega di città lombarde, veniva incoronato Re d'Italia. Matilde liberò e diede rifugio persino alla moglie dell'imperatore, Prassede, figlia del Re di Russia ed ex vedova del Marchese di Brandeburgo, che aveva denunciato al Concilio di Piacenza del 1095 le inaudite porcherie sessuali che aveva preteso Enrico da lei e per le quali veniva relegata in una specie di prigionia a Verona. Si accese dunque una lotta all'interno stesso della famiglia imperiale, che indebolì sempre più Enrico IV.
Enrico IV morì ormai sconfitto nel 1106; ma il suo figlio primogenito Enrico V del Sacro Romano Impero riprese a sua volta la lotta contro la Chiesa e l'Italia. Stavolta l'atteggiamento della Granduchessa nei confronti della casa imperiale dovette modificarsi e Matilde si conformò ai voleri dell'imperatore. Nel 1111, sulla via del ritorno in Germania, Enrico V la incontrò a Bianello, vicino a Reggio. Matilde gli confermò i feudi da lei messi in dubbio quando era vivo suo padre, chiudendo così una vertenza che era durata oltre vent'anni. Enrico V conferì alla Granduchessa un nuovo titolo. Così il figlio del suo vecchio antagonista creò Matilde Regina d'Italia e Vicaria Papale.
A Matilde la tradizione, non sempre confermata dagli storici, attribuisce la fondazione di diverse Chiese, tra cui:
Sant'Andrea Apostolo di Vitriola, a Montefiorino (MO)
San Giovanni Decollato, a Pescarolo ed Uniti (CR)
Santa Maria Assunta, a Monteveglio (BO)
San Martino in Barisano, a Forlì
San Zeno, a Cerea (VR).
Matilde morì di gotta nel 1115. Venne prima sepolta in San Benedetto in Polirone (San Benedetto Po), poi, nel 1633, per volere del papa Urbano VIII, la sua salma venne traslata a Roma in Castel Sant'Angelo. Nel 1645 i suoi resti trovarono definitiva collocazione nella Basilica di San Pietro a Roma, unica donna insieme alla regina Cristina di Svezia. La sua tomba, scolpita dal Bernini, è detta Onore e Gloria d'Italia.
Matilde morì senza eredi diretti; di conseguenza il suo immenso patrimonio fu frantumato. Alcuni castelli rimasero in possesso dei discendenti di Prangarda, sorella di Tedaldo (il nonno di Matilde), altri a signori locali e a Communi Militum, cioè cavalieri e mercenari; alcuni possedimenti vennero addirittura dimenticati in un vuoto di potere, altri semplicemente inglobati nei territori papali.
I Vassalli dei Canossa diedero vita alle dinastie dei Baratti, nel Parmense, e degli Attoni (Iattoni o Jattoni) di Antesica e di Beduzzo, nella Val Parma.
Dopo la sua morte attorno a Matilde venne a crearsi un alone di leggenda. Gli agiografi ecclesiastici ne mitizzarono il personaggio facendone una contessa semimonaca dedita alla contemplazione e alla fede. Lo stesso Dante Alighieri ne sentì parlare e la inserì nell'XI canto del Paradiso della Divina Commedia, ponendola nella cerchia dei militanti per la fede.
Qualcuno sostiene che si sia trattato di un personaggio di forti passioni sia spirituali sia carnali. Probabilmente Gregorio VII ed il monaco Anselmo condizionarono diverse sue scelte facendo leva sulla sua fede quasi incondizionata. Si narra che dopo la morte di Anselmo, Matilde, che soffriva di un’eczema, per curarsi si coricasse senza vesti sul tavolo dove era stato lavato il monaco defunto. In realtà nel Medioevo il culto delle reliquie (e la certezza riguardante i loro poteri miracolosi) fu molto sentito. Si dice che Matilde conservasse tra le reliquie anche un anello vescovile, che utilizzava per calmare i frequenti attacchi di epilessia.
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Civitavecchia è un comune di 51.969 abitanti della provincia di Roma posto sul litorale laziale.
Civitavecchia è il risultato di un millenario processo di civilizzazione ed urbanizzazione del territorio laziale, un territorio di cui, proprio nella zona dove ora sorge questa città (sita a soli 70 km da Roma), si trovano sovrapposti ed accumulati, attraverso varie epoche, significativi elementi che confermano la presenza e lo sviluppo di organizzazioni sociali addirittura sin dall'età Preistorica.
Numerose sono le tracce di insediamenti primitivi presenti sul litorale Civitavecchiese, come altrettanto numerose ed importanti sono le strutture, Etrusche, Romane e Medievali, che hanno reso la città un centro urbano di tale importanza da assumere, sin dai tempi dell'antica Urbe, l'appellativo di Porto di Roma.
Il suo porto costituisce un importante terminal passeggeri, per i collegamenti marittimi -tra gli altri- con la Sardegna, la Sicilia e, attraverso le "Autostrade del Mare", Barcellona, Tunisi, Tolone, Malta e la Corsica. Grazie al grande flusso di navi da crociera, il porto di Civitavecchia è oggi il secondo scalo europeo per numero di passeggeri annui in transito.
La città venne creata sicuramente da un insediamento etrusco. La zona civitavecchiese non diventa realmente città, né è presente in documenti romani, fin dopo il ritorno di Traiano nel 103 d.C. Per maggiori informazioni consultare il sito Città di Civitavecchia. Civitavecchia è l’antica Centumcellae, così chiamata per le insenature che il litorale scoglioso offriva come riparo alle navi. L’imperatore Traiano, nel 106 d.C., intuì che quel luogo era adatto alla costruzione di un porto che sostituisse quello ormai quasi insabbiato di Ostia. Il porto nacque su progetto dell’architetto Apollodoro di Damasco. La città ed il porto nascevano in simbiosi, l'una connessa all'altro, anche perché lo scopo principale di questa grandiosa iniziativa di Traiano, era quello di dotare Roma di attrezzature portuali sussidiarie rispetto a quelle già ampliate, dallo stesso Traiano, alla foce del Tevere. Nel porto di Centumcellae, cominciarono a rifornirsi, in numero sempre maggiore, le navi con rotta verso l'occidente, la città si sviluppò rapidamente. Centumcellae conobbe il periodo di massimo splendore in età imperiale, nel 314 d.C. fino al 538 d.C., periodo in cui la città viene occupata dai Bizantini, dopo i quali, nell' VIII secolo, passò sotto il più mite governo dei papi.Nel’ 828 la città fu occupata dai Saraceni che la distrussero quasi completamente e venne trasformata in una base per le operazioni belliche contro Roma. I superstiti della città costruirono un piccolo borgo nei boschi della Tolfa e solo sessant’anni dopo decisero di tornare nella loro città tutta da ricostruire. Sulle rovine dell'antica città portuale intorno al 1000 venne ricostruita la città ma nel corso della dominazione francese (1798-1815) i Papi ne persero temporaneamente il potere, successivamente in un secondo conflitto bellico nel 1870 i Papi persero il loro dominio definitivamente . Durante il secondo conflitto bellico, gran parte dei monumenti civitavecchiesi subì gravissimi danni, ancora oggi la città è infatti priva di alcuni tra i suoi numerosi antichi edifici monumentali. Durante la seconda guerra mondiale Civitavecchia pagò la sua posizione di porto strategico a un’ora da Roma subendo 76 bombardamenti che la rasero al suolo, ci furono circa duecentocinquanta caduti e danni irreparabili a strutture storiche. L’8 marzo 1999 Civitavecchia ha ricevuto la medaglia d’oro al Valor Civilecon motivazione di: "Città strategicamente fondamentale per il suo porto sul Mediterraneo, durante l'ultimo conflitto mondiale fu sottoposta a continui e violentissimi bombardamenti che causavano la morte di numerosissimi concittadini e la quasi totale distruzione dell'abitato e delle strutture portuali. La popolazione, costretta a rifugiarsi nei paesi vicini, col ritorno della pace, affrontava con fierezza la difficile opera di ricostruzione. 1943 - 1945."
Attualmente l’economia della città è basata sul porto e su una buona attività turistica e peschereccia che ne deriva. Sono presenti due centrali termoelettriche Enel, una a ciclo combinato e l’altra, Torre Valdaliga Nord, attualmente in conversione per l’utilizzo del carbone come combustibile e fonte di numerose polemiche e di ben due referendum cittadini a causa dell’inquinamento che essa potrebbe produrre.
Per anni Civitavecchia ha fondato la propria economia in dipendenza delle grandi centrali termoelettriche ENEL presenti sul proprio territorio. Soltanto nell'ultimo decennio il porto, che vanta una posizione geografica strategicamente vantaggiosa per l'incremento dei traffici marittimi, ha sviluppato tutta una serie di attività, che grazie agli ingenti finanziamenti provenienti dallo Stato e dalla Regione Lazio, hanno consentito allo scalo marittimo di affermarsi a livello nazionale ed internazionale. Oggi Civitavecchia è il primo Porto nazionale ed il secondo in ambito europeo dopo Barcellona per traffico crocieristico (1.850.000 passeggeri previsti nel 2009 pari al 21,8 dell'intero traffico nazionale - fonte Cemar). Di assoluta importanza sono le "Autostrade del Mare" che per la movimentazione delle merci rappresentano l'alternativa al trasporto su gomma generando notevoli risparmi di spesa e di energie: esempi emblematici sono rappresentati dai collegamenti Civitavecchia-Palermo e Civitavecchia-Messina, che consentono a molti autotrasportatori di evitare la pericolosissima Salerno-Reggio Calabria.
Il Porto di Civitavecchia si è inoltre affermato tra i grandi armatori di navi da crociera quale porto di accesso alla città di Roma. Moltissimi sono i turisti che scelgono le crociere nel Mediterraneo e fanno scalo a Civitavecchia per poi visitare la Città eterna.
Il porto di Civitavecchia può godere altresì di un entroterra storicamente interessante: si possono visitare le città etrusche di Tarquinia e Cerveteri ,il Lago di Bracciano, Anguillara, Manziana e Viterbo, la città dei Papi, o la bassa Toscana, tutte distanti pochissimi chilometri.
Il porto di Civitavecchia potrà affermarsi anche come porto commerciale se tutti i progetti attualmente in cantiere saranno realizzati: l'interporto, la darsena grandi masse, il terminal container e le fondamentali opere della linea ferroviaria Civitavecchia-Orte, l'autostrada (o il potenziamento della S.S. Aurelia) Civitavecchia-Livorno e la superstrada Civitavecchia-Orte, già completata e funzionate nel tratto Orte-SP Vetrallese.
Ricorrenze, Feste e fiere
Durante l'arrivo dell'Epifania e nel giorno di Santa Fermina si organizzano mercatini per tutto il lungomare.
Rilevanti la Processione del Cristo Morto, che rievoca la Passione e Morte di Gesù Cristo, nel giorno del Venerdì Santo e le cosiddette "pastorelle" del 23 dicembre. Quest'ultime sono un rito tradizionale che si ripete nell'antivigilia di Natale a partire dal dopoguerra: gruppi musicali girano per la città cantando tipiche canzoni natalizie.
Ogni anno, inoltre, viene ricordato il giorno in cui i saraceni presero possesso della città e si organizza una recita presso la spiaggia del Pirgo.
Stampa
Oltre ai giornali nazionali, tra i quali vi sono Il Messaggero e Il Tempo che nell'edizione civitavecchiese concedono maggiore spazio alle notizie di cronaca locali, a Civitavecchia e nelle aree limitrofe sono presenti i quotidiani La provincia di Civitavecchia, La Voce, Nuovo Oggi Civitavecchia e le testate telematiche TRCgiornale.it, Centumcellae.it e Civonline.it.
Televisione
A Civitavecchia ha sede l'emittente locale Telecivitavecchia, rete a carattere comunitario (non può trasmettere oltre il 5% di pubblicità per ogni ora di trasmissione), la quale si avvale di tre dipendenti e qualche collaboratore. Inoltre, l'emittente regionale Rete Oro, limitatamente all'area di Civitavecchia e dintorni, trasmette il telegiornale locale in una versione differenziata. La copertura televisiva, sia in analogico che in digitale, è garantita molto bene dalle antenne installate, a pochi chilometri dal centro abitato, sulla collina di Monte Paradiso e dalle antenne presenti presso Monte Argentario in Toscana.
Radio
A Civitavecchia hanno sede le emittenti radiofoniche locali Idea Radio, Radio Stella Città e Radio Civitavecchia.
Teatri:
Teatro Traiano
Teatro dei Salesiani
Sale cinematografiche: Cinema Royal
Luoghi di interesse
Terme taurine A nord, appena fuori dalla città, a pochi metri dallo svincolo autostradale, si trova un'area molto apprezzata sin dai tempi antichi per la presenza nel sottosuolo di acque termali. Qui sorgono le Terme di Traiano, o Terme Taurine, da una leggenda secondo cui un toro (probabilmente assimilato ad una divinità) avrebbe raspato la terra prima di iniziare una lotta; così sarebbe scaturita la sorgente miracolosa di acqua calda sulfurea. Il complesso è ora visitabile.
Poco distanti a valle ci sono le Terme della Ficoncella o Bagni della Ficoncella, molto apprezzate dai civitavecchiesi e dai romani e prendono il nome di Ficoncella, l'albero di fico situato tra le vasche. Le Terme hanno conservato la loro antica struttura, fatta di vasche in pietra all'aperto da cui si può ammirare il panorama delle vallate sottostanti e del mare da una parte, dei Monti della Tolfa dall'altro. Le acque della Ficoncella sono acque solfato-calciche che superano i 40°, utili per trovare sollievo a artropatie, dermatiti e allergie. Nella stessa zona è presente il parco acquatico Aquafelix, il più grande del centro Italia, che d'estate attira numerose persone dai comuni limitrofi.
Centro storico Archetto nelle mura medievali attraverso il quale si giunge a Piazza Leandra Il centro storico della città è ben conservato e molto apprezzato dai turisti, nonostante molti dei monumenti storici siano stati distrutti dai bombardamenti della seconda guerra mondiale. Le strutture più apprezzabili sono la cattedrale e le numerose chiese, l'antemurale e il Forte Michelangelo. Il Bastione, torre ottagonale facente parte delle mura che in epoca medievale circondavano a trapezio l'abitato di Civitavecchia Il caratteristico scenario medievale viene composto dalla piazza più antica della città Piazza Leandra, dalla quale è possibile oltrepassare le mura medievali attraverso il passaggio dell'Archetto, la porta a monte dell’antica cinta risalente al IX secolo, che conduce alla attigua Piazza Aurelio Saffi, detta di San Giovanni, che dà il nome all’omonimo Quartiere e dalla quale si raggiunge la Chiesa della Morte (dell’Orazione e Morte), la più antica della città.
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L’euro è utilizzato in 16 paesi dell’UE. Scoprite qualcosa di più sull’ euro, sui tassi di cambio delle altre valute, sui prelievi di denaro e sulle disposizioni in materia di contante.
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Stay Safe
Rome is generally a safe place, even for women travelling alone. There is very little violent crime, but plenty of scams and pickpocketing which will target tourists. As in any big city, it is better if you don't look like a tourist: don't exhibit your camera or camcorder to all and sundry, and keep your money in a safe place
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Julius Caesar
Gaius Julius Caesar (July 12, 100 BC - March 15, 44 BC) was a Roman military and political leader. He played an important part in the transformation of the Roman Republic into the Roman Empire.
He is widely considered to be one of the greatest military geniuses of all time, as well as a brilliant politician and one of the ancient world's strongest leaders. He was proclaimed dictator for life, and he heavily centralized the government of the Republic.
He was assassinated on the Ides of March in 44 BC. Caesar's military campaigns are known in detail from his own written Commentaries (Commentarii), and many details of his life are recorded by later historians.
Augustus
Emperor Augustus of Rome was born with the name Gaius Octavius on September 23, 63 B.C. He took the name Gaius Julius Caesar Octavianus (Octavian) in 44 B.C. after the murder of his great uncle, Julius Caesar. In his will Caesar had adopted Octavian and made him his heir.
Octavian was a shrewd, brilliant and astute politician. He was able to achieve a great power in Rome. At the time of Caesar's assassination, Octavian held no official position.
Only after he marched on Rome and forced the senate to name him consul, was he established as a power to be reckoned with.
Rome achieved great glory under Augustus. He restored peace after 100 years of civil war; maintained an honest government and a sound currency system; extended the highway system connecting Rome with its far-flung empire; developed an efficient postal service; fostered free trade among the provinces; and built many bridges, aqueducts and buildings adorned with beautiful works of art created in the classical style.
Literature flourished with writers including Virgil, Horace, Ovid, and Livy all living under the emperor's patronage. The empire expanded under Augustus with his generals subduing Spain, Gaul (now France), Panonia and Dalmatia (now parts of Hungary and Croatia). He annexed Egypt and most of southwestern Europe up to the Danube River. After his death, the people the Roman Empire worshipped Augustus as a god.
Virgilio
Publius Vergilius Maro was born in 70 BC in Mantua, a city of the Roman Empire. He died in 19 BC in Rome. He was the writer of the epic poem, The Aeneid.
Virgil spent his entire life as a poet. He was born into the Roman world the son of a patrician family, and educated as such a son of such class was. His talents caught the sight of the Roman emperor Caeser Augustus who commissioned him to create an epic poem about the glory of the Roman Empire that would rival the great works of Homer.
Before his death, he requested that his manuscript for the Aeneid be destroyed. Fortunately, the emporer saw otherwise.
Raphael Sanzio
Born Raffaelo Santi or Sanzio, 1483-1520
Raphael was an outstanding master of Italian High Renaissance art. Working chiefly as a painter and occasionally as an architect, he synthesized classicism, idealization, and naturalism to create a consummate Renaissance style.
Born in Urbino, from 1504 to 1508 Raphael lived in Florence; this experience would prove decisive in the maturation of his career, as exposure to the art of Leonardo and Michelangelo led him to develop a grandiose, powerful approach. In 1508 Raphael moved to Rome, where he would spend the rest of his life. Like Michelangelo, he was employed in redecorating the papal apartments in the Vatican.
After this wonderful work he was inundated with commissions, both public and private, from the highest levels of Roman society. He was commissioned by Pope Leo X to design a set of nine tapestries to decorate the Sistine Chapel.
Raphael also worked as an architect. He designed two chapels for Agostino Chigi, an influential Roman banker, between 1512 and 1516. This new role allowed him to determine how his art was experienced.
Raphael's last major work was still incomplete at his death. The Transfiguration (Rome, Vatican, 1518-20), a huge altarpiece commissioned by the Medici, took the static, iconic altarpiece formula of Renaissance art and converted it into dynamic narrative.
Until the nineteenth century Raphael's works served as the paradigm of great art for western civilization.
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Un ber gusto romano
G.G. Belli 22 giugno 1834
Oltre allo sfregio le scritte sui muri erano anche slogan politici
come testimonia Stendhal nelle ultime righe del suo libro
"Passeggiate Romane":
Siam servi sì, ma servi ognor frementi
Vittorio Alfieri
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I
Quelli? Ma quelli, amico, ereno gente
Che prima de fa' un passo ce pensaveno.
Dunque, si er posto nun era eccellente,
Che te credi che ce la fabbricaveno?
A queli tempi lì nun c'era gnente;
Dunque, me capirai, la cominciaveno:
Qualunque posto j'era indiferente,
La poteveno fa' dovunque annaveno.
La poteveno fa' pure a Milano,
O in qualunqu'antro sito de lì intorno,
Magara più vicino o più lontano.
Poteveno; ma intanto la morale
Fu che Roma, si te la fabbricorno,
La fabbricorno qui. Ma è naturale.
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II
Qui ci aveveno tutto: la pianura,
Li monti, la campagna, l'acqua, er vino...
Tutto! Volevi annà' in villeggiatura?
Ecchete Arbano, Tivoli, Marino.
Te piace er mare? Sòrti de le mura,
Co' du ‘zompi te trovi a Fiumicino.
Te piace de sfoggià' in architettura?
Ecco la puzzolana e er travertino.
Qui er fiume pe' potécce fa' li ponti,
Qui l'acqua pe' poté' fa' le fontane,
Qui Ripetta, Trastevere, li Monti...
Tutte località predestinate
A diventà' nell'epoche lontane
Tutto quello che poi so' diventate.
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III
E lui che già ce stava a la vedetta
Pe' fabbricalla, nun vedeva l'ora
De comincià'. Si qui nun se lavora,
Lui pensava, 'n antr'anno che s'aspetta,
Se la potemo pure tené' stretta;
Viè' quarche e forestiere da defora,
Vede er posto, se sa, se n'innamora
E, ar solito, ce fa la cavalletta.
E bada, dico, sai, che nun sia mai
Roma l'avesse fatta un forestiere,
Pe' noi sarebbe stato brutto assai.
Tu ce ridi? Ma intanto er padre Enea,
Ch'era er padre de tutti li trojani,
Nun venne a sbarcà' qui co' quel'idea?
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IV
Si venne a sbarcà' qui, su la spianata
De Civita la vigna co' Didone,
Che sarebbe Didone abbandonata,
Quel era er suo perché de la ragione?
Era che lui ci aveva l'ambizione,
Na vorta che l'avesse fabbricata,
De poté' di' davanti a la nazione:
Roma? So' stato io che l'ho fondata!
E come ce rivò ce mésse mano;
Ma, nun pratico, vecchio, sbajò er sito,
E se perse la strada sotto Arbano.
E così ce rimase co' la voja.
E vedi che fu tanto invelenito
Che agnede fora e diede foco a Troja.
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V
Ma Romolo che insomma c'era nato,
Quello, me capirai, per quanto sia,
Sapeva er punto de la giografia
Der sito dove avrebbe fabbricato.
Per cui subito ch'ebbe ridunato
Er popolo co' quela simpatia
Der tatto de la sua diplomazia,
Piano piano, senz'esse esagerato,
Je fece: Dice, è inutile che famo,
Tanto, sapete, dice, un antro sito
Mejo de questo qui nu' lo trovamo;
Percui, dice, io me fermo e in quanto ar resto,
Come sarebbe a di' la fondazione,
Fece, er progetto mio sarebbe questo.
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VI
Prima de tutto che se vadi piano;
Perch'io, prima de tutto, ordino e vojo
Che ogni cosa che noi mettémo mano
Se finisca, si no nasce un imbrojo.
Per conseguenza, dunque, in mezzo ar piano,
Dove che sorte fora quelo scojo,
Io direbbe de fa' er foro romano.
Sopra je ce se mette er Campidojo.
Vor di' che poi, si a loro je piace
De fasse er Coloseo, l'arco de Tito,
La Rotonna, le Terme, er Tempio in Pace
E tutto er resto, noi tutto er lavoro
Che famo se lo troveno finito;
Ar resto poi ce penseranno loro.
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VII
Capischi come agiva er sentimento
De quell'omo? Lui ci ebbe la malizia
De nun dillo; ma lui cor suo talento
Penso: si qui ce pija l'ingordizia
De fabbricalla tutto in un momento,
Qui ce schioppa ‘na crisi a l'edilizia
E, invece de portalla a compimento,
Famo un antro Palazzo de Giustizia.
Per conseguenza qui ce vò condotta:
Qui se tratta de Roma, nun se tratta
De fa' le vorticelle de ricotta.
Ve capacita? Quelli ce pensorno,
Capirno che la cosa era ben fatta,
J'approvorno er progetto e incominciorno.
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VIII
Ma frattanto li popoli lì accosto,
Che sempre su l'idea de quer soggetto
De Roma la pensaveno a l'opposto,
Se cominciorno a méttese in sospetto.
Perché quelli, se sa che loro, a costo
De qualunque nequizia, quer progetto
De Roma che je s'occupava er posto,
Nun voleveno mai che avesse effetto.
Tant'è vero che fin dar primo giorno
Romolo e Remo, come noi sapemo,
Voleveno levàsseli da torno.
Perché? Perché siccome conosceveno
Come annava a finì', Romolo e Remo
Drento a la storia nun ce li voleveno.
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IX
Defatti, povere anime innocenti!,
Nu' li méssero drento in un cestino
Navigabile, in mezzo a la corrente
De fiume, pe' mannalli a Fiumicino?
Ma volle er caso fortunatamente
Che, sia che se trovassero vicino
Dove l’acqua calò sensibirmente
Sia na murella, un sasso, un porverìno,
O sia che se trovassero de faccia
Un ponte, er fatto sta che se fermorno
Immobili framezzo a la mollaccia.
E lì volle er destino de la sorte
Che ‘na lupa che stava de lì intorno
Je diede er latte e je sarvò la morte.
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X
E vedi che je furno tanto grati
A quela lupa, che venne er momento,
Che appena tutti e due furno ‘rivati
In essere da daje compimento,
Je fecero innarzaje un monumento
Dove che ce so' loro ritrattati
Ne lo stesso preciso movimento
Come la lupa l'aveva allattati!
E Romolo lo disse: Io, fece, vojo
Che ‘sta lupa che a noi ci ha governato,
Sia méssa ner museo der Campidojo;
E siccome che fu er primo principio,
Er ritratto de lei venga stampato
Su lo stemma dell'arma ar Municipio.
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XI
E questo, te dirò, fu bello assai,
Perché fece capì' fin da l'inizio
Che qui a Roma la pianta de quer vizio
D'esse' ingrati nun ci ha fiorito mai.
Defatti, ecchelo lì, si tu je fai
Ar romano un piacere, un benefizio,
Tu te lo troverai sempre propizio;
Vor di' che poi, pur troppo, si me dài
Che mentre quello lì te predilige,
Invece de trattallo come amico,
Lo stuzzichi, be' allora nun transige.
E allora? Allora poi chi cerca trova.
E pure de quest'antro ch'io te dico,
Pur troppo, ce n'avessimo la prova.
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XII
Che fu brutta! Lo so. J'era fratello!
Però pure nojantri lo sapemo
Quante vorte je disse: Fermo, Remo!
Fermete! Statte fermo! E invece quello,
Bisogna proprio di' senza cervello,
Je seguitava peggio a fa' lo scemo,
Fino a quer punto de ‘rivà' a l'estremo
De fallo comparì come er zimbello;
E allora, se capisce, abbozza abbozza,
Per quanto quello avesse sopportato,
Quell'antro daje sotto, e, ingozza ingozza
Venne l'ora der giorno che successe
Quello che insomma, via, sarebbe stato
Mejo pe' tutti che nun succedesse.
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da Storia Nostra di Cesare Pascarella
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Castel S. Angelo, iniziato nel 123 dall'imperatore Adriano, e terminato da Antonino Pio, un anno dopo la morte dell'imperatore Castel S. Angelo, fu ideato come tomba di famiglia. Il grandioso Hadrianeum, è stato voluto e ideato da Adriano come tomba per se stesso, e ne affidò la costruzione all'architetto Demetriano. Per accedervi Adriano fece erigere il pons Aelius, poi detto S. Angelo che ne fronteggia l'ingresso. Pur alterato da oltre un milione mezzo di storia, il monumento è leggibile nelle sue forme originarie, ed è oggi sede del Museo Nazionale di Castel S. Angelo.
Caster-Zant'-Angelo
Quer dottor de Saspirito in zottana
c'a Ttuta, aggratis, je guarì la tiggna,
che ll'anpassato la portò a la viggna
e st'agosto j'ha ffatto da mammana, disce che, a la Repubbrica Romana,
lassù, ppe vvia de 'na frebbe maliggna
c'era invesce dell'angelo una piggna
e Ccastello era la gran mola driana.
Accidenti! che buggera de mola!
Averanno impicciato tutt'er fiumeco li rotoni de sta mola sola! Oh vvarda, cristo!, come va er custume!
Mascinà pprima er grano pe la gola,
eppoi pell'occhi fà ggirelli e ffume!
G.Gioacchino Belli
Ponte Sant' Angelo
Delle due prime statue nel ponte s. Angelo qui vicino; il s. Pietro è opera del Lorenzetto; il s. Paolo di Paolo Romano, fattevi porre da Clemente VII che fece allargare, e rifare la bocca del ponte, il quale da Clemente VIII nel 1598 fu ristorato; poi Urbano VIII riaprì gli ultimi archi, e ultimamente Clemente IX con disegno, e architettura del cavalier Bernini, oltre d'avergli rifatto le sponde, sopra ogni piedistallo fece drizzare statue d'Angioli di marmo bellissime, scolpite con diversi misteri della passione di nostro Signore.
L'Angiolo, che sostiene la collocata fu scolpito con gran maestria da Antonio Raggi.
L'altro, ch'ha in mano il Volto santo, è di Cosimo Fancelli.
Quello, che tiene i chiodi, è di Girolamo Lucenti.
La croce sostenuta da un altr'Angelo, è di Ercole Ferrata.
Uno, che tiene la lancia, fu terminato da Domenico Guidi.
L'altro con la frusta è di Lazzaro Morelli.
E quello, che tiene i dadi, è di Paolo Naldini.
L'Angiolo, ch'ha le spine, è del medesimo Naldini.
L'altro, col titolo della Croce, è del cav. Bernini.
E l'ultimo, che sostiene la spugna, è d'Antonio Giorgietti.
(Titi 1763)