«Quando tornai a Roma dalla Spagna e dalla Gallia... compiute felicemente le imprese in quelle province, il Senato decretò che per il mio ritorno si dovesse consacrare l'ara della Pace Augustea presso il Campo Marzio e dispose che in essa i magistrati, i sacerdoti e le vergini vestali celebrassero un sacrificio annuale» (Res gestae divi Augusti 12,2). E così fu.
La costruzione dell'Ara Pacis fu votata dal Senato romano nel 13 a.C. ma la dedicatio del monumento fu celebrata il 30 gennaio del 9 a.C: il completamento dell'opera richiese dunque tre anni e mezzo. Il tempo necessario per realizzare la ricca e complessa decorazione - affidata probabilmente a scultori neoattici attivi a Roma nel I secolo a.C. - che corre sia sui lati esterni che su quelli interni del monumento e che rappresenta uno dei capolavori della scultura classica. L'Ara Pacis -che rappresenta una delle più alte espressioni dell'arte augustea -, è costituita da un recinto che contiene l'altare dove venivano compiuti i sacrifici. Sorgeva lungo la via Flaminia, alla distanza esatta di un miglio dal pomerium, limite oltre il quale decadevano i poteri militari del magistrato. Il suo declino ebbe inizio nel II secolo d.C, quando i lavori effettuati nel Campo Marzio dagli Antonini ne determinarono il progressivo, inesorabile interramento.
Il ritrovamento dell'Ara Pacis avviene per tappe, lungo un arco di tempo che abbraccia quasi quattro secoli. Nel 1568, sotto palazzo Peretti, furono ritrovati nove grandi blocchi di marmo scolpiti su entrambi i lati che furono acquistati per conto del Granduca di Toscana e quindi trasferiti a Firenze, dopo essere stati segati nel senso dello spessore per facilitarne il trasporto e l'esposizione. Un grande frammento figurato «emigrò» al museo del Louvre, dove si trova tuttora; un secondo ai Musei Vaticani. Quasi tutte le parti decorate a festoni, invece, furono murate nella facciata di Villa Medici al Pincio, dove sono ancora oggi. Durante i lavori di consolidamento del palazzo (divenuto nel frattempo proprietà del duca di Fiano), a partire dal 1859, furono ritrovati il basamento dell'altare e numerosi altri frammenti che nel 1898 furono ceduti dal duca al Museo Nazionale Romano. Nel 1896 Eugen Petersen avanzò una ipotesi di ricostruzione e nel 1903 presentò allo Stato italiano un progetto per il recupero di tutti i frammenti rimasti a palazzo Peretti-Fiano. Ma la presenza di acqua e l'instabilità del palazzo bloccarono ogni iniziativa.
Si giunge cosi al 1937. In vista del bimillenario della nascita di Augusto, il Consiglio dei ministri del regime fascista decretò il recupero e la ricostruzione dei frammenti che compongono l'Ara, all'epoca interrata a più di sette metri sotto la sede stradale. La ricomposizione fu affidata a Giuseppe Moretti: le lastre fiorentine furono recuperate e ricomposte e si eseguirono i calchi dei frammenti del Louvre, di Villa Medici e dei Musei
Vaticani. Nel 1938 iniziarono i lavori per la costruzione della teca di vetro e cemento dell'architetto Vittorio Ballio Morpurgo che dovrà contenere l'Ara.
Per la ricostruzione e la nuova collocazione dell'Ara Pacis, Mussolini diede ampio mandato al ministero per l'educazione nazionale. La scelta cadde sull'area prospiciente il Mausoleo di Augusto, i cui scavi erano appena terminati, per farne un centro di memorie augustee. Ragioni di propaganda politica, dunque, per confezionare un «cuore» storico-mitologico della città moderna e del moderno impero in genealogia con la Roma antica. Si decise quindi di edificare un padiglione di protezione che fu ultimato nel settembre 1938.
E si arriva al 1995. L'allora sindaco di Roma, Francesco Rutelli, incarica l'architetto newyorchese Richard Meier di ideare una nuova musealizzazione in grado di integrarsi anche con la vicina piazza Augusto Imperatore. Lo smantellamento della teca di Morpurgo e il nuovo progetto suscitano accese polemiche (di Vittorio Sgarbi, Giorgio Muratore, Federico Zeri...)- Nonostante il microclima interno al vecchio padiglione, con brusche variazioni di temperatura e di umidità, avesse causato non pochi problemi alla conservazione del monumento messo ulteriormente alla prova da altri fattori che certo non erano stati contemplati nel '38: l'inquinamento e il traffico. Il progetto di Meier prevede un livello di temperatura e di umidità costante e l'eliminazione di tutti gli agenti inquinanti, incluso il rumore. E i materiali proposti sono gli stessi suggeriti nel '37 da Morpurgo: travertino, stucco, vetro e acciaio. Nel 1998 il Consiglio comunale approva il progetto di Meier con alcune modifiche al disegno originale, come l'eliminazione del muro che rischiava di oscurare le facciate delle chiese di San Rocco e di San Girolamo. Nel 2000 si avviano i lavori di costruzione che si allungheranno, tra polemiche, verifiche e stop, fino a oggi.
La costruzione
La costruzione dell'Ara, su decisione dello stesso Augusto, avvenne nel Campo Marzio settentrionale, in quella zona, prossima al confine sacro della città (pomerium), dove quindici anni prima Ottaviano aveva voluto edificare il suo Mausoleo, la tomba dinastica, ed ora, preso il titolo di Augusto, si apprestava a costruire, contemporaneamente all'Ara Pacis, il grande orologio solare che da lui avrebbe preso il nome, l'Horologium o Solarium Augusti.
Il greco Strabone ci ha lasciato un resoconto ammirato della Roma augustea, che in quegli anni si andava estendendo tra la via Lata, attuale via del Corso, e l'ampia ansa del Tevere. Dopo aver descritto la pianura verdeggiante, ombreggiata da boschi sacri, dopo aver detto dei portici, dei circhi, delle palestre, dei teatri e dei templi che vi erano stati edificati, Strabone passa a parlare della sacralità del Campo Marzio settentrionale, sancita appunto dalla presenza del Mausoleo e dell'ustrinum, nel quale, nel 14 d.C., verranno bruciate le spoglie mortali del principe. Tra il Mausoleo e l'ustrinum si trovava un bosco sacro, ricco di amene passeggiate. A sud-est invece, distanti circa 300 metri dal Mausoleo, sorgevano l'Horologium e l'Ara Pacis - in verità non descritti da Strabone - che delimitavano l'area del campus alla quale Augusto affidava la sua memoria.
L'impianto urbanistico-ideologico ideato per il Campo Marzio settentrionale ebbe vita breve e nel giro di pochi decenni l'integrità dell'Horologium risultò compromessa. Nell'area si determinò un generale e inarrestabile innalzamento di quota, dovuto in gran parte agli straripamenti del Tevere; si cercò di proteggere l'Ara Pacis con la costruzione di un muro che arrestasse il processo di innalzamento del terreno, ma ovviamente a nulla valse questa precauzione contro il continuo processo di interramento dell'intera area: il destino dell'Ara Pacis appariva dunque segnato e la sua obliterazione irreversibile.
Per più di un millennio il silenzio calò sull'Ara Pacis, facendo perdere persino la memoria del monumento.
L'aspetto dell'Ara Pacis è stato ricostruito grazie alla testimonianza delle fonti, agli studi durante gli scavi e alle raffigurazioni su alcune monete romane.
« [Cu]m ex H[is[]ania Gal[liaque, rebu]s in iis provincis prosp[e]re [gest]i[s], R[omam redi] Ti. Nerone P. Qui[ntilio c]o[n]s[ulibu]s, ~ aram [Pacis A]u[g]ust[ae senatus pro]redi[t]u meo consa[c]randam [censuit] ad campam [Martium, in qua ma]gistratus et sac[er]dotes [et v]irgines V[est]a[les ann]iversarium sacrific]ium facer[e decrevit.] »
« Quando tornai a Roma dalla Spagna e dalla Gallia [...] compiute felicemente le imprese in quelle provincie, il Senato decretò che per il mio ritorno si dovesse consacrare l'ara della Pace Augusta presso il Campo Marzio e dispose che in essa i magistrati, i sacerdoti e le vergini vestali celebrassero un sacrificio annuale. » (Res Gestae Divi Augusti, 12-2.)
L'Ara Pacis Augustae è un altare dedicato da Augusto nel 9 a.C. alla Pace intesa come dea romana, e posto in una zona del Campo Marzio consacrata alla celebrazione delle vittorie, luogo emblematico perché posto a un miglio (1.472 m) dal pomerium, limite della città dove il console di ritorno da una spedizione militare perdeva i poteri ad essa relativi (imperium militiae) e rientrava in possesso dei propri poteri civili (imperium domi).
Questo monumento rappresenta una delle più significative testimonianze dell'arte augustea ed intende simboleggiare la pace e la prosperità raggiunte come risultato della Pax Romana.
Pax Romana, che in latino significa Pace Romana, è il lungo periodo di pace imposto sugli stati all'interno dell'Impero Romano grazie alla presa del potere da parte di Augusto e chiamato per questo anche Pax Augustea. L'espressione deriva dal fatto che il dominio romano e il suo sistema legale pacificarono le regioni che avevano sofferto per le dispute tra capi rivali. Durante questo periodo Roma combatté comunque un numero di guerre contro gli stati e le tribù vicine, soprattutto le tribù germaniche e la Partia. Fu un'epoca di relativa tranquillità, nella quale Roma non subì né le grandi guerre civili, come il bagno di sangue perpetuo del I secolo a.C., né gravi invasioni, come quelle della seconda guerra punica del secolo precedente.
Questo periodo viene generalmente considerato a partire dal 29 a.C., quando Augusto dichiarò la fine della grande guerra civile romana del I secolo a.C., fino al 180, quando morì l'imperatore Marco Aurelio.
L'Ara Pacis è costituita da un recinto quasi quadrato (m 11,65 x 10,62 x h 3.68), elevato su basso podio, nei lati corti del quale si aprivano due porte, larghe 3,60 metri, a cui si accedeva da una rampa di nove gradini; all'interno, sopra una gradinata, si ergeva l'altare vero e proprio. La superficie del recinto presenta una raffinata decorazione a rilievo, esterno e interno. Nelle scene la profondità dello spazio è ottenuta mediante differenti spessori delle figure.
Quattro pilastri angolari corinzi, più altri quattro ai fianchi delle porte, sono decorati sull'esterno da motivi a candelabra e lisci all'interno. Essi sostengono l'architrave (interamente ricostruita, senza parti antiche) che, secondo le raffigurazioni monetarie, doveva essere coronata da acroteri.
L'Ara Pacis è un monumento chiave nell'arte pubblica augustea, con motivi di origine diversa: l'arte greca classica (nei fregi delle processioni), l'arte ellenistica (nel fregio e nei pannelli), l'arte più strettamente "romana" (nel fregio dell'altare). L'aspetto era quindi eclettico e la realizzazione fu certamente opera di botteghe greche.
L'aspetto politico-propagandistico è notevole, come in molte opere dell'epoca, con i legami evidenti tra Augusto e la Pax, espressa come un rifiorire della terra sotto il dominio universale romano. Inoltre è esplicito il collegamento tra Enea, mitico progenitore della Gens Iulia, e Augusto stesso, secondo quella propaganda di continuità storica che voleva inquadrare la presa di potere dell'imperatore come un provvidenziale ricollegamento tra la storia di Roma e la storia del mondo allora conosciuto. Non a caso Gaio e Lucio Cesari sono abbigliati come giovanetti troiani, così come è illuminante l'accostamento tra il trionfo di Roma e la Saturnia Tellus, l'età dell'oro
Esterno. Il recinto è posto su un grande basamento marmoreo, quasi interamente di restauro, suddiviso in due registri decorativi: quello inferiore vegetale, quello superiore figurato, con rappresentazione di scene mitiche ai lati dei due ingressi e con un corteo di personaggi sugli altri lati. Tra di essi è una fascia di separazione con un motivo a svastica, ampiamente ricostruita.
L'esterno è decorato da un fregio figurato in alto e da elaborati girali d'acanto in basso; i due ordini sono separati da una fascia a meandro; queste fasce decorate si interrompono quando incontrano i pilastri per poi proseguire sugli altri lati.
Nella parte bassa si ha un'ornamentazione naturalistica di girali d'acanto e, tra essi, piccoli animali (per esempio lucertole e serpenti). I girali si dipartono in maniera simmetrica da un unico cespo che si trova al centro di ogni pannello. Possiamo notare un'eleganza e una finezza d'esecuzione che riconducono all'arte alessandrina. La natura viene infatti vista come un bene perduto, secondo uno dei temi della poesia di quel tempo: basti pensare a Virgilio e Orazio.
La fascia figurata si divide in quattro pannelli sui lati delle aperture (due per lato) e un fregio continuo con processione-assemblea sui lati lunghi, che va letto unitariamente come un'unica scena.
Registro superiore. Lato ovest Sul lato sinistro della fronte del recinto, si conserva il pannello con la raffigurazione del mito della fondazione di Roma: Romolo e Remo vengono allattati dalla lupa alla presenza di Faustolo, il pastore che adotterà e alleverà i gemelli, e di Marte, il dio che li aveva generati unendosi con la vestale Rea Silvia. Al centro della composizione è rappresentato il fico ruminale, sotto il quale vennero allattati i gemelli. Sull'albero si possono distinguere gli artigli di un uccello, nel 1938 completato al tratto come un'aquila, ma forse un picchio che, come la lupa, è sacro a Marte. Il dio è rappresentato nelle sue vesti guerriere, munito di lancia, elmo crestato ornato da un grifo e corazza sulla quale si distingue la testa di una Gorgone.
Sulla destra della fronte del recinto è visibile il rilievo che raffigura Enea, già avanti negli anni, che sacrifica ai Penati e pertanto è ritratto in veste sacerdotale con il capo coperto, nell'atto di fare un'offerta su un altare rustico. La parte finale del braccio destro è andata perduta, ma quasi certamente sorreggeva una patera, una coppa rituale, come fa supporre la presenza di un giovane assistente al rito (camillus) che porta un vassoio con frutta e pani e una brocca nella mano destra. Un secondo assistente al rito sospinge una scrofa verso il sacrificio, probabilmente sul luogo stesso in cui verrà fondata la città di Lavinium se si interpreta la scena alla luce dell'VIII libro dell'Eneide. Recentemente, tuttavia, è stato ipotizzato che il personaggio che sacrifica sia Numa Pompilio, il secondo dei sette re, che proprio nel campo Marzio celebrò un sacrificio alla concordia tra sabini e romani, in occasione del quale venne sacrificata una scrofa.
Lato Est A sinistra del lato est del recinto, è il pannello con la raffigurazione della Tellus, la Terra madre, ovvero, secondo una diversa interpretazione, Venere, madre divina di Enea e progenitrice della Gens Iulia, cui appartiene lo stesso Augusto. Un'ulteriore lettura interpreta questa figura centrale come la Pax Augusta, la Pace, da cui l'altare prende nome. La dea siede sulle rocce, vestita di un leggero chitone. Sul capo velato, una corona di fiori e di frutta. Ai suoi piedi, un bue ed una pecora. La dea sostiene ai suoi lati due putti, uno dei quali attira il suo sguardo porgendole un pomo. Nel suo grembo, un grappolo d'uva e dei melograni completano il ritratto della divinità genitrice, grazie alla quale prosperano uomini, animali e vegetazione. Ai lati del pannello due giovani donne, le Aurae velificantes, l'una seduta su un drago marino, l'altra su un cigno, simbolo rispettivamente dei venti benefici di mare e di terra.
Sul pannello di destra si conserva invece un lacerto del rilievo della dea Roma. La figura rappresentata, è stata completata "a graffio" su malta. In considerazione del fatto che è seduta su un trofeo di armi, non può essere che la dea Roma, la cui presenza va letta in stretta relazione a quella della Venere-Tellus, poichè la prosperità e la pace sono garantite da Roma vittoriosa. La dea è rappresentata come un'amazzone: il capo cinto dall'elmo, il seno destro denudato, il balteo a tracolla che sorregge una corta spada, un'asta nella mano destra. Molto probabilmente facevano parte della scena le personificazioni di Honos e Virtus, posti ai lati della dea, nelle sembianze di due giovani divinità maschili.
Sui lati nord e sud, sono rappresentate due affollate schiere di personaggi, che si muovono da sinistra verso destra; tra di essi compaiono sacerdoti, assistenti al culto, magistrati, uomini, donne e bambini, la cui identità storica è ricostruibile solo in via ipotetica. L'azione compiuta dal corteo non è del tutto certa: infatti secondo alcuni, la scena rappresenta il reditus di Augusto, cioè la cerimonia di accoglienza tributata al princeps al ritorno dal suo lungo soggiorno in Gallia e in Spagna; secondo altri, rappresenta l' inauguratio della stessa Ara Pacis, cioè la cerimonia durante la quale, nel 13 a.C., si procedette a delimitare e consacrare lo spazio sul quale sarebbe sorto l'altare.
Il corteggio, su entrambi i lati del recinto, è aperto dai littori, seguiti da membri dei massimi collegi sacerdotali e forse dai consules. Subito dopo iniziano a sfilare i membri della famiglia di Augusto. Sul lato Sud, sono stati riconosciuti con certezza lo stesso Augusto, coronato di alloro, i quattro flamines maiores, sacerdoti dal caratteristico copricapo sormontato da una punta metallica, Agrippa, raffigurato con il capo coperto dal lembo della toga e con un rotolo di pergamena nella mano destra ed infine il piccolo Gaio Cesare, suo figlio, che si tiene alle vesti paterne. Agrippa è l'uomo forte dell'impero, amico e genero di Augusto, di cui ha sposato in seconde nozze la figlia Giulia. E' inoltre padre di Gaio e Lucio Cesari, adottati dal nonno e destinati a succedergli nel comando.
Gaio è rivolto verso la figura femminile che lo segue, nella quale è solitamente riconosciuta Livia, la sposa del principe, rappresentata con il capo velato e la corona di alloro che ne fanno una figura di alto rango. Secondo un'interpretazione più recente, questa figura andrebbe invece identificata con Giulia, che qui comparirebbe a seguito del marito e del suo primogenito Gaio.
Nella figura maschile che segue viene generalmente riconosciuto Tiberio, anche se questa identificazione va messa in dubbio in considerazione del fatto che il personaggio indossa dei calzari plebei, particolare che non si addice a Tiberio, discendente da una delle famiglie romane di più antica nobiltà.
Al cosiddetto Tiberio fa seguito un gruppo familiare, probabilmente formato da Antonia Minore, nipote di Augusto, da suo marito Druso e dal loro figlioletto Germanico. Druso è l'unico ritratto in vesti militari, con la caratteristica veste militare, il paludamentum: infatti nel 13 a.C. egli si trovava impegnato a combattere le tribù germaniche ad est del Reno. Segue un secondo gruppo familiare, verosimilmente formato da Antonia Maggiore, nipote di Augusto, dal suo sposo Lucio Domizio Enobarbo, console nel 16 a.C., e dai loro figli Domizia e Gneo Domizio Enobarbo, futuro padre di Nerone.
Lato Nord Iniziando la lettura da sinistra, tra i personaggi che sfilano è stato riconosciuto Lucio Cesare, secondogenito di Agrippa e Giulia, anch'egli adottato da Augusto. Qui è raffigurato come il più piccolo dei fanciulli, condotto per mano. La figura femminile velata che segue potrebbe essere quella della madre Giulia, verso la quale convergono gli sguardi di quanti stanno intorno. Molti però ritengono che Giulia andrebbe riconosciuta sull'altro lato del corteggio, al posto di Livia che la verrebbe quindi a sostituire su questo lato. La figura matronale posta alle spalle della Giulia / Livia, è generalmente riconosciuta come Ottavia Minore, sorella di Augusto. Tra le due donne si staglia in primo piano la figura di un giovanetto, riconosciuto come terzo figlio di Agrippa e della prima moglie di lui Marcella Maggiore. Alle spalle di Ottavia è ben visibile la piccola Giulia Minore che in quanto nipote di Augusto, gode il diritto di comparire per prima tra le bambine presenti alla cerimonia.
Resta invece molto incerta l'identità delle figure alle spalle della piccola Giulia.
Registro inferiore. Lati nord e sud Il registro inferiore del recinto è decorato con un fregio vegetale composto da girali che partono da un rigoglioso cespo di acanto; dal centro dell'acanto si innalza verticalmente una candeliera vegetale. Dai girali dell'acanto si sviluppano foglie di edera, di alloro, di vite, si dipartono viticci e palmette, e laddove gli steli si assottigliano, avvolgendosi a spirale, sbocciano fiori di ogni varietà. Nella fitta vegetazione trovano ospitalità piccoli animali e venti cigni ad ali spiegate, che scandiscono il ritmo della composizione. Questo rilievo vegetale è stato spesso riferito alla IV Ecloga di Virgilio, dove il seculum aureum, il ritorno dell'età felice e pacifica si annuncia con la produzione copiosa e spontanea di frutti e messi. Aldilà del richiamo generico alla fertilità e all'abbondanza, conseguente al ritorno dell'età dell'oro, il fregio può essere letto anche come un'immagine della pax deorum, della conciliazione delle forze divine che reggono l'intero universo, resa possibile dall'avvento di Augusto.
Interno. L'Ara Pacis, composta da un recinto che racchiude laltare propriamente detto, riproduce le forme di un templum minus, così descritto da Festo: "I templa minora sono creati dagli Auguri (sacerdoti) recingendo i luoghi prescelti con tavole di legno o con drappi, in modo che non abbiano più di un ingresso, e delimitando lo spazio con formule stabilite. Dunque il tempio è il luogo recintato e consacrato in modo da restare aperto su un lato ed avere angoli ben fissati a terra". Se si fa eccezione per gli ingressi, che nel caso dell'Ara Pacis sono due, questa descrizione si adatta particolarmente bene a questo monumento e alla sua decorazione interna che, nella parte inferiore, rappresenta il tavolato di legno che, nei templi arcaici, delimitava lo spazio "inaugurato" con formule sacre.
L'interno del recinto si presenta, come l'esterno, diviso in due zone sovrapposte e separate da una fascia decorata a palmette: nel registro inferiore la decorazione, semplificata, sembra riprodurre il motivo delle assi del recinto in legno che delimitava lo spazio sacro; il registro superiore invece è arricchito da un motivo di festoni e bucrani (teschi animali) intervallati da paterae o coppe rituali. Anche questo motivo rimanda alla decorazione che veniva posta sopra la recinzione lignea, in questo caso ornata con ghirlande straordinariamente cariche di spighe, di bacche e di frutta di ogni stagione, sia coltivata che spontanea, fissate ai sostegni tramite vittae, o bende sacre.
L’altare. L'Ara Pacis è composta da un recinto che racchiude la mensa, l'altare propriamente detto sul quale si offrivano le spoglie animali e il vino. La mensa occupa quasi totalmente lo spazio interno al recinto, dal quale è separato da uno stretto corridoio il cui pavimento si presenta leggermente inclinato verso l'esterno, in modo tale da favorire la fuoriuscita delle acque, sia piovane che dei lavacri successivi ai sacrifici, attraverso canalette di scolo aperte lungo il perimetro.
L'altare è costituito da un podio di quattro gradini sul quale poggia un basamento, che presenta altri quattro gradini sulla sola fronte. Sopra di essi si eleva la mensa, stretta tra due avancorpi laterali. Le due sponde laterali presentano acroteri a volute vegetali e leoni alati.
Sull'interno della sponda sinistra si distinguono le Vestali, sei in tutto, rappresentate a capo coperto: sono le virgines nominate dalpontifex maximus, la massima carica sacerdotale, scelte tra le fanciulle aristocratiche comprese tra i sei e i dieci anni di età, le quali restavano custodi del fuoco sacro per 30 anni. Qui le vediamo nel corso della cerimonia accompagnate da aiutanti.
Del fregio che fronteggia quello delle Vestali, non rimane invece che un frammento con due figure, la prima delle quali rappresenta un sacerdote, più esattamente un flamen, mentre nel personaggio che segue si è voluto riconoscere lo stasso Auguto, forse rappresentato nella veste di pontifex maximus, carica che assunse nel 12 a.C., proprio mentre l'Ara Pacis era in costruzione. Sulla sponda destra esterna si conserva una processione con tre animali, due bovini e una pecora, condotti al sacrificio da dodici addetti (victimarii). Nelle loro mani gli strumenti del sacrificio: i vassoi, il coltello, la mazza e il ramo d'alloro per l'aspersione. Sono preceduti da un togato (o forse un sacerdote) accompagnato da aiutanti e assistenti al culto. Molto probabilmente, i frammenti del fregio dell'altare sono riferibili ad un sacrificio, forse quello stesso alla Pax Augusta che il Senato aveva decretato si celebrasse ogni anno, il 30 gennaio, nella ricorrenza dellaconsecratio dell'altare.
Restauri.
I primi interventi di restauro riguardanti l'Ara Pacis e la sua sistemazione nel padiglione sul Lungotevere, datano agli inizi del 1950, quando il Comune fece liberare la struttura dal muro paraschegge, riparare la trabeazione dell'ara danneggiata dalle protezioni antiaeree e costruire tra i pilastri, in luogo delle vetrate rimosse durante la guerra, un muro di m. 4,50 d'altezza. Il vero ripristino del padiglione avvenne solo nel 1970 con la posa in opera di nuovi cristalli.
Nel corso degli anni Ottanta, si è proceduto al primo sistematico intervento di restauro sull'Ara, che ha comportato lo smontaggio e la sostituzione di alcuni dei perni in ferro a sostegno delle parti aggettanti del rilievo, oltre alla risarcitura delle fratture della malta, al consolidamento dei restauri storici, alla ripresa del colore delle parti non originali e naturalmente alla rimozione di polveri e residui depositatisi nel corso degli anni. In questo stesso intervento, la testa riconosciuta come Honos, ed inserita erroneamente nel pannello di Enea, è stata rimossa.
Anche se non adeguatamente isolato dalle vetrate ripristinate, si sperava che gli interventi degli anni Ottanta, consentissero la buona conservazione del monumento a lungo termine. Invece già alla metà degli anni Novanta si sono resi manifesti i problemi legati ad un'escursione termica e igrometrica troppo ampia e repentina: infatti la malta è tornata a riaprirsi in un reticolo di microfratture; l'umidità, raggiunti i perni in ferro che non era stato possibile sostituire, ha provocato la loro espansione e la frattura dall'interno del marmo; inoltre da indagini condotte sulla tenuta delle lastre maggiori, sono emersi risultati preoccupanti, quali segnali di distacco dal muro di sostegno; infine, uno strato di polveri grasse e acide si era depositato con stupefacente rapidità su tutta la superficie dell'altare, frutto dell'aumento incontrollato dell'inquinamento da traffico e da riscaldamento. Le precarie condizioni del monumento, nell'impossibilità di adeguare la teca esistente, hanno spinto nel 1995 il Comune di Roma a pensare alla sostituzione della vecchia teca.
L’intervento di Richard Meier
Dopo sette anni di lavori, è stato ultimato l'edificio che racchiude l'Ara Pacis, progettato dall'architetto Richard Meier in acciaio, travertino, vetro e stucco. Il complesso è stato inaugurato e aperto al pubblico il21 aprile 2006 in occasione del Natale di Roma.
L'opera di Meier, il primo grande intervento architettonico-urbanistico attuato nel centro storico di Roma dai tempi del Fascismo, è una struttura dai caratteri trionfali, con chiari accenni allo stile imperiale romano. Si erge sopraelevato e richiama in luce il Mausoleo di Augusto sulla sinistra del manufatto architettonico, mentre ampie superfici vetrate consentono di ammirare l'Ara Pacis in condizioni di luminosità uniformi.
Il colore bianco è il marchio di fabbrica di Richard Meier; le lastre di travertino che decorano parte dell'edificio sono invece frutto delle modifiche apportate dall'architetto in corso d'opera (originariamente erano previste superfici di alluminio), dopo un riesame del progetto in seguito alle polemiche sorte con alcuni nostalgici della vecchia teca, costruita nel 1938 nell'ambito dei lavori di realizzazione della piazza Augusto Imperatore diretti dell'architetto Vittorio Ballio Morpurgo.
L'ambizioso progetto di Meier intende imporsi con energia nel cuore della città, diventando centro nevralgico e di scambio. Il complesso, a lavori eseguiti, sarà infatti dotato di un percorso pedonale che, grazie alla costruzione di un sottopassaggio,consentirà di saldare la struttura museale al Tevere.
Ciò nonostante, l'opera è stata accolta con pareri contrastanti. Il New York Times l'ha definita senza mezzi termini un "flop", mentre il famoso critico d'arte e polemista Vittorio Sgarbi l'ha liquidata spregiativamente definendola "una pompa di benzina texana nel cuore di uno dei centri storici più importanti del mondo", nonché il primo passo verso una "internazionalizzazione" della Città di Roma. Tuttavia il giudizio non è stato affatto unanime, eAchille Bonito Oliva ha ad esempio espresso apprezzamenti per il progetto di Meier.
In una delle sue prime dichiarazioni dopo l'elezione a sindaco di Roma (aprile 2008), Gianni Alemanno ha annunciato la sua intenzione di rimuovere la teca di Meier, che la destra romana ha sempre contestato. Lo stesso Alemanno ha però successivamente precisato che l'intervento sull'Ara Pacis non è in ogni caso fra le priorità del suo programma.
Il Museo dell'Ara Pacis fa oggi parte del Sistema dei Musei in comune.
Nella notte tra il 31 maggio e 1° giugno 2009, ignoti hanno imbrattato con vernice verde e rossa il muro bianco esterno, posizionando anche un water ai piedi del muro. Sull'azione al momento indaga la Digo