Vorrei condividere una sorpresa entusiasmante che mi ha riservato uno degli ultimi sopralluoghi effettuati nelle belle giornate di sole a gennaio: la riscoperta delle antiche e famose Aquae Ceretane. Queste sorgenti termali sono menzionate in diverse fonti antiche, tra cui il medico romano Celio Aureliano, lo storico e geografo greco Strabone e lo storico romano antico Tito Livio. Le sorgenti erano scomparse e rimaste "congelate" dalla storia per oltre un millennio e mezzo, sepolte sotto un terreno agricolo privato, ma mantenevano uno stato di conservazione sorprendentemente buono per alcuni apparati decorativi. Le dimensioni e il livello artistico di queste strutture sono decisamente eccezionali rispetto allo standard degli insediamenti noti nella zona.
Con immenso piacere ho scoperto che sono riprese le operazioni di pulizia nello scavo archeologico delle Aquae Ceretanae, condotte dal Gruppo Archeologico del Territorio Cerite, lo stesso gruppo che ha già ripulito e ripristinato la zona archeologica del "Laghetto", facente parte del Sito UNESCO della necropoli della Banditaccia a Cerveteri, una delle aree più antiche, vaste e importanti di tutto il Mediterraneo.
Grazie alla preziosa disponibilità del coordinatore scientifico, il noto archeologo Flavio Enei, Roberto Della Ceca, e la dott.ssa Monica De Simone, è stato possibile accedere allo scavo appena ripulito per fare qualche foto e ripresa video in anteprima.
Le terme vennero finalmente individuate alla fine del 1986 quando, a seguito di un'aratura effettuata con un trattore dal proprietario del terreno, riemersero cocci e frammenti fittili, di marmo, di vetro e tantissimi tasselli di mosaico che erano sparsi su una grande superficie di quel campo agricolo privato.
Intervenne subito l'archeologa dott.ssa Rita Cosentino, responsabile all'epoca della Soprintendenza Archeologica dell'Etruria Meridionale, la quale intuì che si era in presenza di una realtà molto importante, ma non arrivò ancora a pensare alle famose Terme Ceretane.
Con l'inizio degli scavi archeologici subito dopo, insieme ad altri ritrovamenti, affiorarono alcune soglie in marmo e, a più di cinque metri di profondità, furono rinvenuti i resti di due grandi ambienti contigui (risalenti al I secolo, ma frequentati fino al III) ciascuno dotato di una piscina: quello con la vasca più grande, il calidarium, circondato da un portico, ha un'estremità curva ed è tuttora inondata da una sorgente ad alta temperatura, ed uno più piccolo, il tepidarium, in cui la vasca è rettangolare e riceve acqua tiepida, circondati da ben tre file di sedili in marmo (con marmi pregiati di giallo antico e di Carrara ad addobbare tutte le terme), parte dei mosaici con le loro rispettive tessere in pasta vitrea di colore blu, verde, giallo, nero e rosso, ed un decisivo cippo votivo di marmo con su scritto: "A Giove e alle fonti delle acque ceretane" ad indicarne la connessione ad una serie di culti legati alle acque salutari.
Furono anche individuati, lungo le pareti, dei tubi di terracotta che recavano l'acqua calda per riscaldare gli ambienti di questo ampio impianto composto da diversi edifici, emersero poi un bustino muliebre somigliante ad una Faustina ed un pezzo di sedile con su una zampetta di leone.
Considerando come erano normalmente strutturate le terme romane, all'appello mancano ancora (come minimo, visti i settantamila metri quadrati di estensione) il frigidarium, gli spogliatoi e la palestra.
Tra i ritrovamenti provenienti dall'area scavata, furono soprattutto due iscrizioni a svelare il mistero dello scavo risolvendo allo stesso tempo l'enigma della precisa localizzazione delle Aquae Ceretanae, almeno di quelle di età romana:
- la già citata iscrizione che commemorava un'offerta a Giove ed al Fons delle Aquae Ceretanae, da parte di uno schiavo imperiale di nome Florentinus;
- una seconda iscrizione che commemorava l'offerta di una mensa allo stesso Fons Aquarum Caeretanarum da parte di un ufficiale con il titolo di signifer, verosimilmente di una coorte pretoriana o urbana, di nome Lucio Pontilio Duuro figlio di Lucio. L'analisi paleografica, linguistica, tipologica e storico-antiquaria, consentì di datare la mensa circa alla prima metà del I secolo d.C. Datazione simile era assegnabile anche alla dedica di Florentinus.
Lo splendido impianto termale risultava effettivamente collocabile, come ritiene la Cosentino, nell'ambito della prima età imperiale, con una frequentazione che arriva fino a tutto il III secolo.
Le ultime notizie sulle famose Aquae Ceretanae ce le dette il noto scrittore e medico Celio Aureliano, sostenitore dell'idroterapia, il quale dichiarò che si trattava "Delle acque termali più calde d'Italia".
L'indagine archeologica portò alla luce anche tracce di legno bruciato e di vari detriti alluvionali segno che, forse, le terme furono distrutte dai Visigoti di Alarico, poco prima del celebre saccheggio di Roma del 410, o forse da una violentissima alluvione.
Dalle citazioni di Celio Aureliano questo sito (esteso per circa 7 ettari, formando una vera e propria grande città termale dove si abitava, si sostava e dove, fra l'altro, effettuavano la quarantena anche le quadrate legioni romane) fu completamente abbandonato, rimanendo interrato e nell'oblio per moltissimi secoli, scomparendo fino alla fine degli anni '80 del secolo scorso.
Se la ricognizione archeologica lascia a desiderare dando poche certezze, anche per colpa di pochi scavi sistematici effettuati finora dovuta alla mancanza di fondi, un aiuto può venire da testi antichi e dai numerosi depositi di votivi anatomici noti in aree sacre sviluppatesi presso le sorgenti, ma va sottolineato che non sempre simili offerte, manifestazione della religiosità popolare, attestano pratiche curative, potendosi trattare di semplice culto delle acque.
Il complesso termale delle Aquae Caeretanae o Caeretes, era dunque già rinomato secoli prima del medico romano Aureliano ed era già citato da fonti più antiche.
Lo storico e geografo greco Strabone (60 a.C- 21 d.C.) infatti, nel suo De Geographia (V 2, 9) affermava che le abbondanti acque termali dell’Etruria, per la vicinanza a Roma, erano affollate quanto quelle, celeberrime, di Baia in Campania e che le Caeretanae erano più popolate della città da cui traevano nome (Caere) (V 2, 3).
Anche se la zona cui fa riferimento Strabone fu eguagliata, soprattutto durante l’età imperiale, da altri ambiti territoriali come i dintorni di Roma (Aquae Cutiliae, Labanae, Albulae) o il lazio meridionale (Aquae Neptuniae), e (Aquae Vescinae), l’area sud-etrusca rimane quella più citata dagli autori che insistono sulla straordinaria diffusione delle sorgenti calde e sul culto tributato alle loro divinità (lymphae).
Lo storico romano Tito Livio (59 a.C. - 17 d.C.) annotò nella sua Ab Urbe Condida ( una monumentale storia di Roma a partire dalla sua fondazione) sulle Aquae Ceretanae “Nell’anno 535 tra i vari prodigi ci fu quello delle acque ceriti miste a sangue” (parla del 535 a.C. e quindi siamo in piena epoca etrusca).
Ma v’è di più: la tutela delle acque termali in Etruria pare affidata in primo luogo ad Ercole e ad Apollo. Livio infatti sembra mettere in qualche modo in connessione le stesse Aquae Caeretanae con un fons Herculis. Ma nelle nuove sopra citate iscrizioni i fedeli venerano in prima posizione Iuppiter e subordinatamente Fons.
Le implicazioni storico-religiose di questo cambiamento, come quelle della prima attestazione di uno specifico fons Aquarum Caeretanarum, possono far pensare che Livio rifletta ancora una tradizione etrusca mentre le iscrizioni, e forse lo stesso Strabone, si riferirebbero ad una realtà imperiale ormai profondamente mutata, quando il sistema etrusco con una serie di fontes sparsi, tra i quali il più noto era dedicato ad Ercole, era stato sostituito da un efficiente ed affollato impianto termale unitario.
Una basetta iscritta trovata in seguito mostrava che, comunque, Ercole non era stato del tutto soppiantato se figurava come destinatario, sia pure in subordine (Iovi et Herculi Aquarum Caeretanarum), di un’altra dedica posta da un centurione dei vigili.
Si tratta quindi di dediche dove il culto romano si innestò senza stravolgimenti di sorta sui culti autoctoni. Anzi, avvenne un fenomeno di senso contrario: proprio l’assimilazione delle figure indigene condusse, più che a sincretismo puro e semplice, ad un radicale cambiamento della fisionomia divina preposta alle fonti, in cui da un’originaria unicità si passò ad una scomposizione in una molteplicità di entità divine.
A complicare ulteriormente le cose la natura stessa dell’elemento idrico: l’acqua viva, essendo elemento imprescindibile di qualsiasi rito, contraddistingue ogni aspetto della religiosità umana. E dunque sussistono legami fondativi tra l’acqua e i culti delle più disparate divinità, soprattutto Apollo (nella doppia veste oracolare e medica), Ercole e Minerva.
Com’è intuibile, l’importanza e dunque la sacralità delle sorgenti d’acqua è un elemento indiscutibile, presso ogni civiltà. La posizione stessa delle città etrusche e poi di Roma fu sempre scelta (tra gli altri motivi) proprio per l’abbondanza delle sue fonti, elemento di mistero e meraviglia, nonché fattore indispensabile alla vita.
Nemmeno la sistematizzazione dell’afflusso idrico con acquedotto a cui erano preposti i ministri o i magistri fontani e i curatores aquarum, attenuò la venerazione delle acque sorgive, fredde e calde, come risulta da numerosissime testimonianze letterarie e centinaia di dediche votive, anche in relazione a bacini di raccolta artificiale delle acque sorgive, quali terme ed acquedotti (sottoposti alla tutela di numi locali o meno).
E dunque l’acqua rimase destinataria di una devozione che la investiva, invariabilmente, in contesti naturali e artificiali, dove la perizia artistica ed ingegneristica umana si fondeva armoniosamente con la valenza magico sacrale dell’elemento acquatico; queste acque sono sottoposte all’autorità di Fons.
Oltre che etimologicamente, l’appartenenza di questa divinità all’elemento acquatico risulta nel mito, che vuole Fons figlio di Giano e di Giuturna; il legame è ulteriormente sancito dalla collocazione topografica: a Fons è infatti consacrato un altare alle pendici sud-orientali del Gianicolo (nel luogo occupato ora dal Ministero della Pubblica Istruzione). Il colle di Giano è infatti ricchissimo di sorgenti e di falde acquifere e lì si estendeva (presso l’attuale Villa Sciarra) anche il lucus di Furrina, altra divinità connessa all’acqua ed in qualche modo complementare a Fons. Non risultano sacerdozi dedicati al dio, benché alcuni avanzino l’ipotesi che Fons fosse onorato di un flamine.
Ben conosciute ed attestate dai maggiori calendari romani sono le sue festività, i Fontinalia del 13 Ottobre: in questo giorno pozzi e fontane venivano ornate da ghirlande e da offerte di fiori. Quella dei fiori sembra un’offerta consuetudinaria al dio, insieme a vino e sacrifici di più cruenta natura: celeberrima l’offerta di un capretto da parte di Orazio alla Fons Bandusiae, come quella di un’agnella da parte di Numa alla Fons Fauni et Pici
Sembra convincente le teoria proposta da alcuni studiosi di un legame di Fons con l’Armilustrium ( in questo giorno di festività le armi dei soldati subivano una purificazione rituale e riposte per l’inverno): la valenza di Fons, alla chiusura della stagione bellica, sarebbe da inserire nel quadro delle pratiche lustrali tese ad eliminare la pollutio dalle armi e dagli uomini.
Ancora piu convincente se consideriamo che le legioni romane si fermavano già alla vicina Caldara di Manziana e alle terme di Stigliano per purificarsi dopo le lunghe campagne militari, prima di fare rientro nella capitale
Con certezza sappiamo che l’azione curativa dei fanghi era impiegata sulle persone e sugli animali. Ancora fino alla metà del secolo scorso, sempre nella Caldara di Manziana, venivano praticati bagni ricorrenti alle greggi, alle mandrie e agli altri animali domestici.
Come accennato, per il territorio nord-laziale si può parlare di una vera “strutturazione” termale solo dopo la conquista romana, poiché in epoca etrusca non sembra venissero costruiti impianti stabili, semmai poteva essere eretto un sacello in onore del nume del luogo, come si verifica nelle terme in oggetto (Aquae Ceretanae) dove è attestato un tempio del VI-V sec. a.C.;
La preminenza dell’Etruria si comprende alla luce della ricca mappa idrogeologica di quella regione che rende pienamente giustificata la conoscenza dei poteri terapeutici di alcuni fontes sin dalla protostoria e, più diffusamente, in epoca preromana. In proposito però sono andate perdute notizie preziose per la scomparsa della letteratura etrusca e anche le testimonianze archeologiche sono labili e poco conosciute.
In tutta quest’area del resto, segnata dalla presenza di attività endogena legate al vulcanismo Sabatino e Tolfetano, numerose sono le sorgenti termali conosciute e utilizzate dalle popolazioni stanziatesi nel corso dei millenni (i ritrovamenti datano le prime deposizioni devozionali all’età neolitica; Gasperini, 1976).
In epoca etrusca e romana diversi erano i siti termali nel raggio di pochi chilometri: si ricordano le «Aquae Tauri» presso Civitavecchia, le «Aquae Apollinares» di Vicarello, quelle di Stigliano, e le «Aquae Caeretane», solo per nominare quelle nelle immediate vicinanze.
I più rilevanti, per monumentalità, di questi luoghi di culto si trovano in corrispondenza di importanti vie di comunicazione, snodi commerciali o vie di transumanza: qui acquisivano anche una fondamentale valenza politica, fungendo da mediatori culturali a doppio binario nel processo di romanizzazione. Se numerose sono le fonti tramandate dalla letteratura o dalle dediche votive con un nome, molto più numerose sono quelle anonime. Si tratta di sorgenti rimaste integre nel loro contesto naturale e mai oggetto di monumentalizzazione, la cui devozione è da segnalarsi grazie all’esistenza di depositi votivi (bronzetti, vasellame anatomico e non, resti animali). Un culto tanto generalizzato quanto quello delle acque, ovviamente, abbracciava vaste prerogative: lustrali, oracolari e soprattutto terapeutiche. Non a caso le espressioni cultuali si registrano soprattutto in presenza di acque termo-minerali, che in base alla specifica composizione chimica dell’acqua costituivano e costituiscono a tutt’oggi rimedio ad un larghissimo spettro di patologie.
E' stato ipotizzato,per esempio, che esercitasse le arti mediche presso le aquae Ceretanae anche il medico Diodotus originario di Tyana, menzionato in un’iscrizione funeraria del tardo III secolo d.C. rinvenuta nelle vicinanze (cfr. Cassia 2006).
Benchè le conoscenze idroterapiche antiche si basassero in prevalenza su osservazioni empiriche, mischiando conoscenze scientifiche e magico-religiose, trovavano spazio tutte le principali applicazioni conosciute oggi; i santuari dedicati alle fonti salutari finirono gradualmente per incorporare strutture ricettive, atte ad accoglier questuanti/degenti. La geologia e l’analisi chimica delle acque può dunque contribuire ad una mappatura dei luoghi di culto fontinali dell’Antichità.
Il termalismo in età romana ed i frequentatori delle terme
Le fonti letterarie ricordano che le aquae salutiferae erano frequentate da magistrati per l’età repubblicana, imperatori o funzionari della loro corte per l’età imperiale, personaggi di rango, ma anche membri meno importanti.
Al contrario, le epigrafi attestano con più evidenza delle testimonianze letterarie l’onomastica, lo status sociale, il grado di romanizzazione, la professione e la provenienza geografica dei visitatori di un centro termale. Questo anche in considerazione della natura di queste fonti che riescono a dar voce a quegli strati medi e bassi della società, sui quali invece la maggior parte degli autori antichi racconta ben poco.
Se nelle testimonianze letterarie si riportano notizie relative ai frequentatori di rango di certe terme (quali gli imperatori, gli alti prelati, i membri della nobiltà, gli uomini di cultura, come Orazio), dai testi epigrafici veniamo a sapere, come già discusso sopra, che, oltre a questi personaggi di alto livello sociale, alle terme andavano a curarsi anche donne, animali e membri di strati medio-bassi. Fra questi, particolarmente attestati risultano i militari di servizio: basti pensare al caso delle Aquae Caeretanae, dove conosciamo il donario di prima età imperiale, posto dal centurio P(ublius) Sc[r]ibonius Proculus, che militava in una delle coorti ausiliarie dei vigili di stanza a Roma. Alcuni studiosi hanno ipotizzato che la presenza di militari presso le sorgenti termali vada spiegata in considerazione delle particolari proprietà di certe acque per la cura di ferite corporali.
Oltre ai personaggi di rango quindii, le iscrizioni attestano la presenza presso le aquae salutiferae anche di membri di strati sociali più bassi. Fra l’età augustea e il II secolo d.C., in effetti, almeno una dozzina di dedicatari erano liberti e una decina schiavi, fra cui si annoverano anche liberti e schiavi imperiali (in particolare Celadus libertus Augusti alle aquae Albulae, Eros libertus e procurator Augusti a Stigliano, Argenne liberta di Poppea Augusta a Ischia, Alcibiade liberto a cubiculo di Adriano alle Terme Taurine presso Civitavecchia, Florentinus Augusti servus alle aquae Ceretanae, Antonius ed Eugenes servi di Caracalla e Geta alle Terme di Suio).
Per quanto concerne le professioni dei dedicanti, esse sono menzionate in un numero molto ridotto di testi, ancora una volta databili fra I e II secolo d.C.: si possono ricordare, fra gli altri, Q. Magurius Ferox, attore e giocoliere attestato alle Aquae patavinae, che poteva forse lavorare negli spettacoli organizzati presso gli stabilimenti termali per dilettare il pubblico che li frequentava, ma anche - e forse più probabilmente - nei celebri ludi cetasti che si tenevano nella vicina Patavium; due sacerdoti, di cui particolarmente interessante è quello anonimo (per frattura della pietra) che nel I secolo d.C. ai Bagni di Stigliano donò la spoglia di un bue in quanto sacerdote delle polle sorgive del luogo; due medici rispettivamente in area flegrea e a Ischia, dei quali tuttavia non è chiaro se praticassero la professione in loco (anzi, il secondo, che si definisce espressamente cisalpino, probabilmente esercitava in quella regione d’Italia).
Frequente risulta la presenza nelle aree termali di donne: oltre a un passo letterario, ove Marziale attesta l’utilizzo delle acque medicamentose di un’adultera che per giustificare le sue assenze da casa adduce la scusa di frequentare i bagni di Sinuessa per curare l’isteria, una ventina sono le iscrizioni di dedicanti femminili poste fra I e II secolo d.C. nelle stazioni termali dell’Italia romana, con una particolare concentrazione presso il santuario di Minerva Medica a Travo.
Le dediche sono offerte per lo più a divinità iatriche e ampiamente attestate in siti termali quali in particolare Apollo e le Ninfe o ancora Esculapio e Igea, ma anche a divinità con accezione prettamente locale, come la Minerva Medica/Memor di Travo (Piacenza) o ancora la Spes Augusta del Fons Timavi presso Monfalcone (Gorizia). L’ampia presenza femminile in questi luoghi termali fa ipotizzare l’esistenza di un’articolazione complessa degli stabilimenti, con la dotazione di ambienti distinti per i due sessi, come avveniva nel caso di edifici termali di carattere igienico.
Per concludere, come si è già detto, fra i frequentatori delle aquae salutiferae romane vanno annoverati anche gli animali: un caso di elevata committenza in tal senso è costituito dalla base di donario con carme metrico dedicato alle Aquae Albulae per la sanatio di un cavallo, ferito durante una caccia al cinghiale nel territorio di Rusellae.
In alcuni passi si esplicitano anche le malattie che le aquae salutiferae dovevano curare: l’isteria, le patologie nervose in generale oppure la podagra, con una continuità cronologica che va dall’età augustea al tardoantico.
I testi letterari, dunque, sono più ricchi di dati in tal senso rispetto a quelli epigrafici che solo in pochissimi casi menzionano le malattie da cui si guariva grazie alle acque termali: la gravis infirmitas da cui fu liberata Coelia Iuliana da Minerva Medica nel santuario di Travo, i problemi ai capelli che affliggevano Tullia Superiana come ricorda un altro ex voto dello stesso santuario, a possibile otite o sordità cui sembra riferirsi un terzo testo sempre di quel santuario, la ferita di caccia da cui fu guarito il cavallo Samis grazie alle Aquae Albulae.
Tornando ai frequentatori, anche l’epigrafia attesta la presenza nelle stazioni termali di una serie di personaggi delle alte classi sociali, attivi nella vita politica del tempo, fra i quali merita citare per il II secolo d.C. L. Minucius Natalis, nativo di Barcino, il cui cursus honorum annovera, fra le cariche principali, il consolato, il proconsolato d’Africa fra il 153 e il 154 d.C., la propretura come legato di Augusto della Mesia Inferiore, la curatela della via Flaminia, la pretura. Due iscrizioni da lui dedicate dimostrano probabilmente un’attiva frequentazione di complessi termali e forse, anche se non esplicitato, un votum solutum agli dei per una guarigione lì ottenuta: si tratta del testo in latino ad Apollo portato alla luce presso le terme di Musignano a Canino e di un secondo più dubbio in greco a Zeus Elio Serapide, a Iside Mirionima e agli dei venerati nello stesso tempio rinvenute alle Terme del Bullicame a Viterbo.
Un altro personaggio di spicco nella società del II secolo d.C. era T. Caunius Priscus, legatus Augusti pro praetore in Numidia e consul designatus, di cui ci rimane un particolarissimo testo votivo del 186 d.C. dedicato alle Aquae Sinuessanae, trovato a Lambaesis (odierna Algeria) presso il tempio di Esculapio. È possibile che l’iscrizione evochi una guarigione del personaggio avvenuta grazie alle acque termali campane (e quindi attesti la memoria di queste sorgenti portata da Caunio Prisco con sé anche lontano) oppure esprima un atto politico di fedeltà ai luoghi natali della famiglia.
In alcuni casi sono gli oggetti votivi che evidenziano l’alto livello economico dei dedicatari: un esempio di particolare rilievo è quello di Vicarello, presso il lago di Bracciano, ove si è recuperato un deposito votivo contenente numerosi oggetti metallici (per lo più vasetti potori), datati fra il I e il II secolo d.C., con concentrazione massima nella seconda metà del I, di cui alcuni sono espressione dell’alta toreutica romana e probabilmente appartenevano a “curisti” facoltosi, mentre i frequentatori più poveri si limitavano a lanciare monete nelle acque, secondo un uso che ha avuto un’ininterrotta continuità fino a oggi.
Di un certo pregio sono anche gli ex voto bronzei (fra cui manici di simpula e trullae) rinvenuti a Lagole (Belluno); infine sono oggetti di valore, riferibili a una ricca committenza, le orecchie d’argento menzionate in un’iscrizione già citata da Travo (Piacenza), nonché la statua di Diana e il ritratto in metallo pregiato di una donna che vengono nominati in due testi dalle aquae Albulae di Tivoli. Addirittura in oro dovevano essere i dadi gettati dall’imperatore Tiberio nella fonte di Apono, in area euganea, ove si era recato a consultare l’oracolo di Gerione riguardo agli esiti della campagna militare che stava per intraprendere: Svetonio (Tib. 14, 3) racconta che ai suoi tempi si vedevano ancora luccicare sub aqua.
Dati di grande interesse evinti dai testi epigrafici sono, infine, quelli relativi alla provenienza dei frequentatori delle terme: un caso eclatante è quello delle Aquae Apollinares Novae, oggi Vicarello,, ove sappiamo che arrivavano personaggi dalle estreme propaggini occidentali e orientali dell’Impero e in particolare da Cadice in Spagna (come testimoniano per la prima età imperiale le tazze di Vicarello, con ogni probabilità donate proprio da un frequentatore gaditano delle acque termali), e dall’Oriente Anatolico (come risulta dalla piccola base marmorea di età imperiale, probabilmente di sostegno a un ex voto perduto, con dedica in lingua greca ad Apollo da parte di Sestilio Obas, nativo di Afrodisia.
Gli archeologi continueranno a esplorare il sito alla ricerca di nuovi indizi e di nuove prove che possano contribuire a ricostruire il passato di questa antica e magnifica struttura termale. Nel frattempo, il pubblico avrà l'opportunità di ammirare le meraviglie delle Aquae Ceretanae attraverso visite guidate che celebrano questa importante scoperta archeologica in corso o scoprendo gli altri importantissimi siti etrusco-romani sparsi nello stesso territorio a pochi minuti di distanza gli uni dagli altri.